venerdì, aprile 19, 2024

Dress code virtù teologali

 


Luigi Giussani dice: «La grande grazia da cui la speranza nasce è la certezza della fede; la certezza della fede è il seme della certezza della speranza» Ciò su cui si fonda la speranza è un presente: «Ma un presente è veramente presente nella misura in cui tu lo possiedi; perciò la speranza è la certezza nel futuro che si appoggia su un possesso già dato», su una grande grazia, appunto.
Perciò la speranza cristiana è tutto tranne che irragionevole. Non è una speranza campata per aria, senza punto d’appoggio, una sorta di ottimismo irrazionale contro l’evidenza dei dati del presente. Anzi, la sua ragionevolezza poggia tutta su una conoscenza verificata nell’esperienza. Per questo possiamo dire che poggia su un possesso già dato.
*La speranza è una trappola, è una brutta parola, non si deve dire. La speranza è una trappola inventata dai padroni, di quelli che ti dicono "State buoni, state zitti, pregate che avrete il vostro riscatto, la vostra ricompensa nell'aldilà, perciò adesso state buoni, tornate a casa." [...] Mai avere la speranza, la speranza è una trappola, è una cosa infame inventata da chi comanda. *
Péguy diceva: "Per sperare bisogna aver ricevuto una grande grazia.
Cosa è questa grande grazia?
La fede in Gesù Cristo.
La grande grazia è la certezza della fede, che è come un seme di tamerice, una delle più belle piante che ci siano.
Il seme di tamerice è piccolo, un piccolo seme che si confonde con la terra. Col tempo si sviluppa, si sviluppa e viene fuori una grande pianta con quei bei capelli lunghi, tutti orlati di perle che sono fiorellini, che al minimo soffio di vento si muovono come uno che soffi sui capelli lunghi di una ragazza. La grande grazia da cui la speranza nasce è la certezza della fede. La speranza, la virtù più piccola ma la più forte.
Papa Francesco è tornato più volte in questo periodo a parlare di speranza, spronandoci a guardare con occhi nuovi la nostra esistenza, soprattutto ora che è sottoposta a dura prova, e guardarla attraverso gli occhi di Gesù, “l’autore della speranza”, affinché ci aiuti a superare questi giorni difficili, nella certezza che il buio si trasformerà in luce. Io ho parlato della speranza che insieme alla fede e alla carità viene definita virtù teologale. Sono infuse da Dio nell'anima dei fedeli per renderli capaci di agire quali suoi figli e meritare la vita eterna. Sono il pegno della presenza e dell'azione dello Spirito Santo nelle facoltà dell'essere umano. Poi ho elencato due esempi di perduta speranza laica.
Infine, c'è una speranza laica che è supportata da qualche evento importante.
La speranza, senza una base forte altro non è che una casualità positiva.
Il pensiero positivo è l’abilità (ma anche l’abitudine) di orientare la mente verso uno stato di positività, superando i pensieri negativi e creandone di nuovi, più felici. Lo scopo è di affrontare con fiducia, speranza e consapevolezza gli avvenimenti della vita e di gestire al meglio anche le nostre emozioni.
Nella nostra vita, personale e collettiva, sembra essersi affievolito l’orizzonte della speranza. Il futuro ci appare troppo incerto e indecifrabile, se non minaccioso. Finiamo così per appiattirci sul presente. Ma senza speranza la vita si spegne. Queste difficoltà obbligano i credenti a purificare l’immagine che hanno della speranza, spesso a buon mercato e ‘leggera’. Il sacerdote e poeta José Tolentino Mendonça, una delle voci più autorevoli e note della cultura cattolica portoghese, in questo suggestivo articolo tesse un vero e proprio elogio della speranza, accettando la «prova del fuoco della disperazione», non ignorando l’enigma e l’assurdo della nostra storia, ma integrandoli nella visione di una speranza «umile, silenziosa, matura». In questo percorso l’Autore si ispira all’apostolo Paolo e al suo «sperare contro ogni speranza», quell’aprirsi disponibile al nuovo di Dio che ha in Abramo la sua figura umana paradigmatica e in Gesù Cristo il compimento pasquale, l’«icona della speranza che siamo chiamati a portare con noi nel tempo, accada quello che accada».





martedì, aprile 09, 2024

Sviluppo della coscienza

 


Le tappe di trasformazione della coscienza sono simili in tutti gli individui, indipendentemente dal tipo di società, dal periodo storico, dalla cultura e dal grado di sviluppo della coscienza etica, morale e spirituale del gruppo di appartenenza. Le fasi salienti della trasformazione della coscienza individuale sono: il limbo dell'infanzia, le passioni della giovinezza e l'introversione contemplativa della maturità.
Jung distingue tre forme naturali di sviluppo della coscienza che prende avvio con l'adolescenza: "La prima forma di coscienza, quella del semplice riconoscere, rappresenta una condizione anarchica o caotica. Il secondo stadio, cioè quello del complesso dell'Io, è una fase monarchica o monistica. Il terzo stadio rappresenta un progresso della coscienza e cioè la coscienza della dualità, di uno stato dualistico". Jung era ateo.
Nel saggio Die Psychologie der unbewussten Prozesse, "La psicologia dei processi inconsci", del 1917, Jung aveva definito il problema dell’esistenza di Dio addirittura come uno dei problemi più stupidi che ci si possa porre". La psicologia analitica può solo dimostrare la presenza di un’immagine archetipica della divinità nell’inconscio.
Scrive Jung. "Noi giungiamo alla metà della vita con la più completa impreparazione, e, quel che è peggio, vi giungiamo provvisti di preconcetti, di ideali, di verità buoni sino a quel momento. Non è possibile vivere la sera della vita seguendo lo stesso programma del mattino, poiché ciò che sino ad allora aveva grande importanza ne avrà ora ben poca, e la verità del mattino costituisce l'errore della sera.
Dalle immagini della risonanza magnetica di 233 bambini, gli scienziati del Cedars-Sinai di Los Angeles e dell’University of North Carolina Chapel Hill hanno scoperto che il livello di crescita dei circuiti cerebrali associati alle emozioni nella primissima infanzia può predire ansia e anomalie comportamentali nei bambini più grandi e negli adulti. L’attenzione degli scienziati si è concentrata sull’amigdala l’area cerebrale cruciale per il controllo delle emozioni.
«Attraverso le immagini della risonanza magnetica - ha dichiarato Wei Gao, principale autore dello studio - lo studio dimostra che i circuiti del cervello essenziali per la regolazione emotiva negli adulti sono assenti nei neonati ma emergono intorno a uno o due anni di vita fornendo le basi per un corretto sviluppo emotivo». Bisogna uscire bene da quel limbo di vita che in effetti è sicuramente un caos ordinato.
Mentre rileggevo il post ho pensato a Fellini. Al suo mondo onirico e al suo rapporto con Jung. Al fatto che lo contrapponesse a Freud: mentre Freud ti obbliga a pensare, Jung ti prende per mano e ti spinge con umiltà a immaginare, sognare e cercare dentro di te ciò che ti sfugge.
Noi giungiamo alla metà della vita con la più completa impreparazione, e , quel che è peggio, vi giungiamo provvisti di preconcetti, di ideali, di verità buoni sino a quel momento. Non è possibile vivere la sera della vita seguendo lo stesso programma del mattino, poiché ciò che sino ad allora aveva grande importanza ne avrà ora ben poca, e la verità del mattino costituisce l'errore della sera."


venerdì, aprile 05, 2024

Il narcisista patologico

 


Sì, comunque sia, penso che il Sommo Creatore (sia Egli Dio, Allah o Cullù) ogni tanto si distragga e butti sulla Terra qualche individuo a caso, dimenticandosi poi il motivo. Un po' come quando entrate in una stanza e vi mettete a fissare il tappeto pakistano della prozia Pina nel tentativo di ricordare perché siete lì. Ecco.
Queste persone si insinuano nella vostra vita come se nulla fosse, trasformandosi poi, col tempo, in noiose tritasassi.
Tra tutte, c’è una categoria in particolare cui il rogo dovrebbe esser d’obbligo: i narcisisti. Dietro questo termine apparentemente innocuo e infantile, si nasconde un vero e proprio disturbo patologico che porta l’individuo a sviluppare una percezione distorta del proprio sé attribuendogli un’importanza e un’idealizzazione totalmente esagerate. E, nella stragrande maggioranza dei casi, infondate.
Ma noi non siamo psicologi, per cui non ce ne frega una mazza.
Il narcisista è l’amico o l’amica che reputa la Treccani un libretto per bambini e si sente quindi obbligato, dall’alto della sua sconfinata intelligenza, ad apportare correzioni e precisazioni ad ogni vostra singola parola. Nel 97% dei casi è ignorante come un lichene e disinformato quanto "Il Giornale".
Il narcisista è anche colui o colei che cerca sempre il vostro appoggio per qualsiasi cavolata; pretende conforto, ascolto e comprensione. Vi riversa addosso tutti gli avvenimenti della sua inutile giornata, magari mentre siete imbottigliati nel traffico da venti minuti, in ritardo per il prossimo appuntamento e sotto un sole degno di Dubai. Ma il “visualizzato” senza risposta della tamarra o dell'imbroglione di turno è molto, molto più importante. E lo vede spesso chi ignora.
Il narcisista è quell’organismo che si colloca a metà tra il pus e la muffa nera.
Il narcisista ama parlare di sé stesso, mostra disprezzo aperto verso gli altri,
mira ad essere oggetto di ammirazione, mostra un interesse effimero verso le persone, ricerca attenzione attraverso le emozioni negative, si percepisce come una personalità grandiosa, tende a manipolare gli altri.
I narcisisti “storici”, Oscar Wilde, Gabriele D'Annunzio, Curzio Malaparte, Lord Byron in realtà sono prima di tutto dei dandy, gran lavoratori travestiti da nullafacenti.

Il narcisista:


Mostra disprezzo aperto verso gli altri.

Mira ad essere oggetto di ammirazione.

Mostra un interesse effimero verso le persone.

Ricerca attenzione attraverso le emozioni negative.

Si percepisce come una personalità grandiosa.

Tende a manipolare gli altri.

Il narcisismo è una gran brutta bestia non solo perché ama solo se stesso ma per come non sappia provare empatia per nessuno.


Il narcisismo ha molte facce, ma non sempre è di tipo patologico: stima, considerazione di sé stessi e capacità di autoaffermazione sono cose sane in generale. Altro sono le forme patologiche che comportano sopravvalutazione di sé ed incapacità di empatia verso gli altri. Il narcisista patologico tipicamente è una persona che non vede al di là del proprio naso ed infatti riesce a vedere solo sé stesso.




domenica, marzo 31, 2024

Il post più bello

 


Giovanni (20,1-9)




In particolare:




....Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.




Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario- che era stato sul suo capo- non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette.
Il corpo di Gesù, risorgendo, non si era strappato di dosso le scomode fasciature, ma egli ne era uscito senza scomporle, come se il corpo di Gesù fosse svanito dall’interno del lenzuolo (sindone) che l’avvolgeva e quindi la sindone e le fasce, non avendo più cosa avvolgere, si sono semplicemente afflosciate su sé stesse.
Pietro e Giovanni temevano che il corpo di Gesù fosse stato rubato. Giovanni, invece, constatò che gli elementi erano esattamente nella stessa posizione dove erano stati lasciati 3 giorni prima, durante la sepoltura.
Il telo di lino che avvolgeva Gesù era dove prima giaceva il suo corpo, cioè sulla pietra sepolcrale, afflosciato e non srotolato.
Poco prima vi è Maria di Magdala che giunge al sepolcro, e pensa che Gesù sia stato portato via.
I due uomini arrivano dopo, e Giovanni credette per amore. Infatti, non avevano ancora compreso la Scrittura dice l'apostolo.
A me ha sempre colpito questo passaggio, di Giovanni che arriva, si china, vede, ma non entra, per lasciare entrare Pietro, il più anziano, colui che Gesù scelse come pietra della Chiesa, lo fa entrare, e poi entra. Il significato è evidente: la priorità della Chiesa. Giovanni non entra per rispetto della figura di Pietro, il primo Papa.
Maria di Magdala vede solo la pietra rimossa.
Le donne trovano la tomba vuota e l'angelo (Vangelo secondo Luca); Sant'Apollinare Nuovo, Ravenna, VI secolo.
La «tomba vuota» è un episodio riferito nei vangeli canonici, la scoperta da parte delle donne che erano andate alla tomba di Gesù per imbalsamarne il corpo con olii aromatici che la tomba era aperta e vuota; un messaggero (un giovane uomo, un angelo, due uomini o due angeli, a seconda del vangelo) rivela loro che Gesù è risuscitato.
Tutti e quattro i vangeli canonici riportano l'episodio della tomba vuota, con differenze significative tra le varie versioni, ma in ogni caso l'episodio è la prima attestazione evangelica della risurrezione di Gesù (l'unica, nella versione originale del Vangelo secondo Marco, senza cioè il «finale lungo»), precedente alle apparizioni di Gesù.


sabato, marzo 23, 2024

Chi semina vento raccoglie tempesta

 




Vladimir Putin era ancora un semisconosciuto ex agente del Kgb quando, da poco nominato premier, nel settembre del 1999 promise ai russi che avrebbe «perseguitato i terroristi (ceceni) dappertutto, pure nel cesso». È grazie a quella minaccia che, pochi mesi dopo, fu trionfalmente eletto presidente per la prima volta. Da allora è sempre rimasto a capo del Paese. I russi allora puntarono sull’“uomo forte” e, ventiquattro anni dopo, hanno riconfermato la loro scelta consegnandogli altri sei anni al Cremlino con percentuali mai viste.
Putin sembrava aver mantenuto fede alla sua promessa. I russi avevano smesso di aver paura di prendere un mezzo di trasporto o di andare a scuola, a dispetto degli onnipresenti metal detector e delle ubique videocamere di sorveglianza, eredità di un passato buio. L’ultimo attentato risaliva all’aprile 2017 quando un kamikaze kirghiso si era fatto saltare in aria nel metrò di San Pietroburgo. Il quarto mandato di Putin, iniziato nel 2018, si stava concludendo immune dall’incubo terrorismo. Si chiude invece nel sangue. Con oltre 60 morti e più di 140 feriti nella sala concerti Crocus City Hall nei pressi della capitale Mosca.
Una tragedia che risveglia in Russia la paura del terrorismo che sembrava oramai passata in secondo piano rispetto alle ripercussioni della cosiddetta Operazione militare speciale contro Kiev: gli attacchi dei droni e i raid nelle regioni al confine con l’Ucraina. Precipita il Paese nell’incubo degli anni più bui delle stragi terroristiche. Quel 1999 degli attentati nei condomini. E gli anni Duemila degli attentati dei commando ceceni e delle “vedove nere”: gli attacchi suicidi nei treni, sui vagoni della metropolitana, in aereo e sui bus o le prese di ostaggi nel teatro Dubrovka di Mosca nel 2002 e della scuola di Beslan, nell’Ossezia del Nord, nel 2004.
Tutti quegli attentati avevano una sola matrice: il Caucaso musulmano. Stavolta la rivendicazione arriva dallo Stato Islamico e mette a tacere le accuse incrociate e il moltiplicarsi di ipotesi di una “vendetta ucraina” o di un’operazione russa sotto falsa bandiera. È avvalorata pure dall’allerta lanciata lo scorso 7 marzo dagli Stati Uniti che stavano «monitorando notizie secondo cui estremisti hanno piani imminenti per attaccare grandi eventi a Mosca, compresi concerti» e mettevano in guardia dal rischio attentati nelle successive 48 ore. Secondo la Cnn, Washington aveva avvertito la Russia del rischio di attacchi proprio da parte dell’Isis.
Putin risponderà come ha sempre fatto: perseguitando i colpevoli «fino al cesso» mantenendo fede alla promessa di venticinque anni fa. Senza curarsi di eventuali vittime collaterali. «Con i terroristi non si tratta», ha sempre detto. Lo dimostrò alla fine del 1994 ordinando il bombardamento a tappeto del capoluogo ceceno Groznyj e lo riaffermò ordinando i blitz delle forze speciali nel teatro Dubrovka e nella scuola di Beslan che provocarono più vittime tra gli ostaggi degli attentatori ceceni. E, senza andare troppo lontano nel tempo, lo ha dimostrato anche l’aereo misteriosamente precipitato un anno fa del capo mercenario Evgenij Prigozhin.

da Repubblica.it





lunedì, marzo 18, 2024

L'altra riva

 


                                Dal Vangelo secondo Marco 4,35-41


                                In quel giorno, verso sera, Gesù disse ai

                                suoi discepoli: “Passiamo all’altra riva”.

                                E lasciata la folla, lo presero con sé,

                                così com’era, nella barca. C’erano anche

                                altre barche con lui.

                                Nel frattempo, si sollevò una gran tempesta di vento

                                e gettava le onde nella barca, tanto che ormai era piena.

                                Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva.

                                Allora lo svegliarono e gli dissero: “Maestro,

                                non t’importa che moriamo?”. Destatosi,

                                sgridò il vento e disse al mare: “Taci, calmati!”.

                                Il vento cessò e vi fu grande bonaccia.

                                Poi disse loro: “Perché siete così paurosi?

                                Non avete ancora fede?”.

                                E furono presi da grande timore e

                                si dicevano l’un l’altro: “Chi è dunque costui, al

                                quale anche il vento e il mare obbediscono?”.

L’altra riva è ciò per cui quei discepoli erano fatti: essi appartenevano

 *a qualcosa d'altro, non al miracolo dei pani moltiplicati, appartenevano a qualcosa di più profondo, da cui erano sorti anche i pani*

L'altra riva è ciò per cui siamo fatti, è la Presenza cui apparteniamo. Verso dove andare dunque? Verso qualcosa cui apparteniamo. Non apparteniamo a quel che siamo, tant'è vero che da quel che siamo, scaturisce il terrore della morte e l'umiliazione per il male. Il nostro sguardo cerca un Volto nella notte. Il nostro sguardo cerca un Volto in quell'ombra che preme sulla faccia di tutto e di tutti, cerca il destino e la consistenza delle cose, l'altra riva.
Per alcuni l'orizzonte degli eventi è una città, un viaggio nel nostro Io interiore, una scoperta della Fede o lo spazio infinito fatto di stelle, o ancora amare qualcuno con tutto il proprio essere per costruire qualcosa di buono e unico.
La cosa più importante, almeno credo, è tuttavia essere consapevoli come appunto diceva San Marco che solo gettando le reti delle nostre vecchie consapevolezze per prendere il largo e fidarsi di qualcosa/qualcuno ciecamente possiamo non solo diventare persone totalmente nuove ma soprattutto capire dove Dio vuole condurci e lavorare affinché la Sua e la nostra visione possano collimare.
Cosa cerco? Il senso del tutto, perché quand’anche la vita fosse bella, ricca di denaro e affetti, entusiasmante, colma di cultura ed esperienze... arriverà sempre il momento in cui il “senso” sfuggirà dalle mani come sabbia fra le dita e allora è in quel frangente che si comprenderà quanto avrò trovato e colto il senso del tutto.

                    

martedì, marzo 12, 2024

Le quattro vele

 




Il Cristianesimo del XX secolo ha dovuto fare i conti con i fenomeni provocati dalla rivoluzione industriale, e dalle nuove forme di comunicazione che hanno prodotto individualismo, e la mancanza di relazione, impoverisce la sensibilità dell’uomo. Annulla un’etica che regoli i rapporti tra gli esseri umani. Tutto ciò ha favorito la secolarizzazione, ha messo in crisi i grandi valori etici, la solidarietà, la fratellanza. La ricerca della relazione con Dio, i laicisti negano Dio, perché negano la dipendenza dal Creatore. Eppure, l’esistenza di un Creatore è percepibile dall’intelligenza di ognuno. E quello che proprio non riescono ad accettare è che l’asse portante del Cristianesimo, quello che lo rende inassimilabile a qualunque altra fede o religione, è la Resurrezione di Cristo e quella di tutti noi alla fine dei tempi. Per loro si tratta di una vera alla morte e mettere la parola” Fine” perché, nessuna fede, nessuna filosofia, nessuna profezia umana ha mai osato parlare di resurrezione dei corpi alla fine dei tempi e il relativismo moderno, che accetta come valide tutte le posizioni speculative (per poi, di fatto per negarle tutte) non può digerire questa fede inaudita che cambia la vita di 360 gradi. Una comunità che smette di inginocchiarsi di fronte alla ricchezza, al successo e al prestigio ed è capace, al contrario, di lavare i piedi degli umili e dei bisognosi, sarà più vicina all'insegnamento di Dio di quanto lo sia l'etica della vittoria a ogni costo che purtroppo abbiamo imparato negli ultimi tempi. A volte qualcuno non ha gradito il mio parlare sul pensiero religioso: "Trovo indelicato e irrispettoso ridere di chi crede, ma altrettanto irrispettoso e indelicato fare proselitismo continuo". Ho risposto così: "Ho la certezza che un ragionamento etico non convinca nessuno. Inviti una persona a casa tua, l'accogli, gli parli e spieghi chi è un cristiano, lo porti al ragionamento. Io parlo di come vivo e lo fai anche tu. Se qualcuno vuole imitarti può farlo benissimo e non mi infastidisce. Non mi turba l'enfatizzazione della scelta dell'ateismo. Non penso che vedere e vivere in un certo modo sia proselitismo fastidioso".
Da ragazzino detestavo preti, suore e frati.
Esisteva solo gus e quello che mi piaceva lo prendevo senza curarmi se fosse cosa giusta o sbagliata.
Si diventa cattolico solo grazie a un incontro.
La fede nasce da un incontro. A me è accaduto con una ragazza che sarebbe diventata mia moglie. Fondamentalmente sono una persona onesta. Non mi ero mai posto il problema dio. Lei invece era praticante. Una grande occasione per confrontare il tuo agnosticismo con una che crede. Così ho fatto e dal confronto ho capito che lei viveva meglio di me. Un rapporto affettuoso con tutti, una che donava a piene mani. Ho cominciato a seguirla alla Santa Messa e domenica dopo domenica ho conosciuto Dio e il Figlio. Loro avevano una proposta di vita che sconsigliava l'uomo dal commettere errori (in teologia si chiamano peccati) per evitare di fare male agli altri e a sé stessi. È iniziato il mio grande cammino come scelta ragionevole fino a diventare credente, e seguito a camminare. Solo così l'Amore verso Dio aumenta. Lui lo sa e può fare di me quello che vuole. Io aspetto la manna (dacci oggi il nostro pane quotidiano) e ne sono felice.
L'osservazione della realtà porta alla certezza che quello che guardiamo è frutto di un'intelligenza che l'uomo ha definito secondo il suo crescere e quindi le epoche storiche in tanti modi. In effetti il cristiano chiama Dio quello che in effetti è solo Mistero impossibile a svelarsi per la differenza di intelligenza tra Lui e l'uomo. Il fatto dirompente, unico nelle religioni, è che questa intelligenza si incarna nel corpo di una giovane ebrea e viene ad abitare in mezzo a noi. Dare una risposta certa all'accaduto comporta la presa d'atto dell'impossibilità della risposta. Quando il nostro Io si imbatte in questo incontro può dire sì, oppure no. In effetti il cristianesimo è una proposta di vita che un uomo accetta per ragionamento, cioè che ciò che propone questa religione soddisfa le esigenze del tuo cuore. Si ha la sensazione chiara che ci troviamo di fronte alla Verità.
Io avevo visto la donna che sarebbe diventata mia moglie in uno stabilimento balneare di Pescara che si chiama "Le quattro vele".
Una ragazza con i capelli biondi. I nostri sguardi si sono incrociati e lei mi ha sorriso. Poi il vento ha scompigliato i suoi capelli coprendole il viso. È stato un attimo. E dentro di me ero convinto che non avrei dimenticato quel volto né quel giorno, né il giorno dopo e nemmeno tra centomila anni.







 

venerdì, marzo 08, 2024

Superare il problema della scelta

 


La libertà è una continua ricerca della qualità del tuo modo di vivere. Si deve scoprire ogni atteggiamento, azione e pensieri che costituiscono errori. Il problema è la nostra incapacità di non comprendere la complessa struttura dell'errore e commetterlo, senza capire che stiamo sbagliando.
Molti pensano che la libertà sia la possibilità di scegliere; invece, è libero chi non deve scegliere perché la sua coscienza sa dove si trova il giusto.
È un uomo libero il samaritano che non si pone il problema di aiutare un uomo ferito perché sa che è quello che deve fare, mentre il levita e il sacerdote pensano alla scelta: dovrei aiutare quella persona che giace sul ciglio della strada, ma se sta solo fingendo e mi aggredisce, che ne sarà di me? Ha scelto la liberà imperfetta, quella che ti fa scegliere e poi sbagliare.
Sofocle disse: Non si può conoscere veramente la natura e il carattere di un uomo fino a che non lo si vede gestire il potere.
Il potere e il desiderio di grandezza, assorbono il cuore dell’uomo avido, lo ubriacano e gli causano una specie di delirio di onnipotenza, calpestando tutti i valori. Quanto più grande è il potere, tanto più cresce l’abuso degli altri uomini dimenticando che esso è il nulla, se non riconosce di essere creatura.
Non dimentichiamoci che ci sono altri abusi di potere anche nel nostro piccolo mondo domestico, causando danni irreparabili, togliendo la vita a chi si ribella alle vessazioni, e stravolgendo la vita alle piccole vittime, che vengono private dei loro diritti primari: Amore e serenità.
Quando una cultura diventa dominante il suo contenuto è così sistematicamente veicolato dai media che si innesca una veloce osmosi che riesce ad informare inconsapevolmente la mentalità di tutti.
Così che a un certo punto la fisionomia stessa del muoversi della società e dei singoli diventa totalmente riconducibile alle immagini e ai parametri mentali degli strumenti di comunicazione.
È molto raccapricciante vedere un individuo totalmente determinato nei suoi giudizi e nelle sue movenze dal dettato comune.
L’uomo non può vivere al di là della coscienza riducendola ad un apparato anonimo come la legge o lo stato. L'irriducibilità della coscienza è minacciata dai mezzi di comunicazione di massa e dalla generale computerizzazione della società.
È molto facile per noi riuscire a immaginare istituzioni organizzate così perfettamente da imporre come legittima ogni loro azione. Basta disporre di una efficiente organizzazione per consentire qualunque cosa. Così potremmo sintetizzare l'essenza di ciò che ci minaccia: gli stati programmano i cittadini, le industrie, i consumatori, le case editrici e i lettori. Tutta la società un po' alla volta diviene qualcosa che lo stato produce. Nell'appiattimento del desiderio ha origine lo smarrimento dei giovani e il cinismo degli adulti. E nell'astenia generale l'alternativa qual è? Un volontarismo senza respiro e senza orizzonte, senza genialità e senza spazio e un moralismo d'appoggio allo stato come ultima fonte per il flusso umano.
In Italia non esiste più autorità, esiste, invece, uno sterminato potere. Tutti ne hanno. Il ministro, l'industriale, l'impiegato della posta, il ladro, il giudice e il banchiere. L'immagine televisiva, il libro che finge di non avere scopo, la musica ripetuta fino all'ossessione, il disco o il vestito amato dai ragazzi di quindici anni.
Il Potere non ha un volto riconoscibile: è anonimo, vuoto, gelatinoso, vischioso, e aderisce a coloro che lo desiderano e anche a coloro che non lo amano.
Se tutti hanno potere, nessuno lo afferra. Così è lui che ci possiede, senza che noi lo sappiamo.
Poche epoche come la nostra sono state così schiave della soggezione e del fascino del potere.


venerdì, marzo 01, 2024

La religione tascabile

 



Ci sono gli atei che non ce la fanno a credere che possa esistere un dio e si formano una coscienza in base alle esperienze della vita. Non mi infastidiscono e molti rispettano chi crede. Poi ci sono i santi, specialmente quelli grandi che con la vita dimostrano l'importanza della fede. Infine, c'è una massa blaterante che crede a pezzetti. Non ai preti e relativa Chiesa, non all'Incarnazione, nemmeno a pensarci alla Resurrezione. È la massa dei credenti a una religione tascabile a proprio uso e consumo. Mi mettono tristezza perché non hanno capito e nemmeno vogliono capire. Io sto in mezzo a loro ma so benissimo che il dubbio dipende solo dalla mancanza di una fede completa. Morto dio gli italiani lo hanno sostituito con altri poteri stravaganti. In Italia non esiste più l’autorità che è stata sostituita da uno sterminato potere. L’Autorità amministra per il bene della collettività, il Potere è fine a sé stesso. Tutti ne hanno. Il ministro, l'industriale, l'impiegato della posta, il ladro, il giudice e il banchiere. L'immagine televisiva, il libro che finge di non avere scopo, la musica ripetuta fino all'ossessione, il disco o il vestito amato dai ragazzi di quindici anni. Il Potere non ha un volto riconoscibile: è anonimo, vuoto, gelatinoso, vischioso, e aderisce a coloro che lo desiderano e anche a coloro che non lo amano. Se tutti hanno potere, nessuno lo afferra. Così è lui che ci possiede, senza che noi lo sappiamo. Poche epoche come la nostra sono state così schiave della soggezione e del fascino del potere. La democrazia, invece, si alimenta di convinzioni etiche e ideali che cercano di diffondersi e di affermarsi fino a diventare forza costitutiva della società. Ciò presuppone però il libero confronto e questo, a sua volta, la libera e diretta partecipazione di coloro che vi portano le proprie convinzioni, quale che ne siano la fonte e il fondamento, laico o religioso. La democrazia è, per così dire, un regime in prima persona, non per interposta persona. Se essa è occupata da forze che agiscono come longa manus di poteri esterni, diventa il luogo di scontro e prepotenza di potentati che obbediscono alle loro regole e non rispondono a quelle della democrazia: potentati che sono, tecnicamente, irresponsabili. La mia speranza è di vivere il vangelo e non di raccontarlo. Il denaro, solo quello che mi basta per vivere. Il problema della mancanza di una presenza fisica è irrisolvibile perché la donna che vorrei stringere tra le braccia è morta. Ma proprio questa sofferenza la rende viva ed è la fonte della mia gioia. La fede un modo di vivere. Per questo devi vedere attraverso il vecchio e il nuovo testamento che tipo di esistenza ti propone. Se trovi *non desiderare la donna d'altri* devi essere d'accordo. Se non lo sei cambia religione. La sottomissione è per la tua tutela, perché se contesti cadi nell'errore, come Adamo e Eva. L'eucaristia, o comunione, o santa cena, per gran parte delle Chiese cristiane, è il sacramento istituito da Gesù durante l'Ultima Cena, alla vigilia della sua passione e morte. Il termine deriva dal greco antico εὐχαριστία, eucharistía, «ringraziamento, rendimento di grazie». Se Gesù lo ha chiesto devi farlo, altrimenti cambia religione. Il resto, come miracoli, qualche dogma inutile non ci riguarda. Non dobbiamo pensare a quello che c'è dopo la morte. Le parole di Cristo sono metafore. Non possiamo pensare di capire il significato di vita eterna. Sappiamo solo che Cristo ha vinto la morte. Il dubbio è proprio l'avvicinarsi troppo, risolvere la questione sbagliando. Dio ci ha donato il libero arbitrio, quindi non ci vuole burattini, ma nemmeno contestatori della Verità. I suoi doni l'uomo li sta utilizzando molto male.




sabato, febbraio 24, 2024

La chiave della felicità

 


La vita diventa un veleno se non crediamo in essa, quando non è che un mezzo per saziare la vanità, l'ambizione, l'invidia. E si comincia ad avere nausea (Sándor Márai). In “Le vent se lève!… Il faut tenter de vivre!“ (Paul Valéry) di Hayao Miyazaki  si afferma che "si deve provare a vivere", in ogni caso - perché "tu sei qui, e la vita esiste".“ Si alza il vento, dobbiamo cercare di vivere” tutto ruota attorno a questa frase. Quando il vento si leva occorre afferrare quello che il vento cerca di strapparci, fosse il cappello, un ombrello, i nostri sogni. Occorre afferrarli e viverli, fino al sacrificio, fino a quando il vento non tornerà a posarsi e capiremo di cosa fossero fatti. È amore. Puro amore. Due persone, guidate dal destino, s'incontrano e tra loro aleggia una particolare magia: quando si scopre di amare e di essere amati si desidera condividere. Perché quest'amore è dono è reciprocità. È una domanda semplice che investe tutti, a tal punto che prima o poi, questa domanda deve essere fatta, perché riguarda qualunque uomo. Pur nella sua semplicità rappresenta una sfida straordinaria, perché per rispondere a questa domanda non bastano delle parole, non rispondiamo con un discorso o con delle spiegazioni che qualcuno ci dà o che ci diamo noi stessi, ma solo vivendo; la risposta a questa domanda è una vita. Quando facciamo riferimento alla vita, non significa fuggire dal mondo o ricercare una qualsivoglia egemonia, ma essere servizio all’uomo, a tutto l’uomo e a tutti gli uomini, a partire dalle periferie della storia e tenendo desto il senso della speranza che spinge a operare il bene nonostante tutto. Ci sono gesti, parole che tante volte rendono testimonianza alla Vita e alla Verità più di molti fiumi di parole. La vita per me è un ricominciare, ricominciare ogni alba e ogni tramonto, insomma ogni giorno e questo ci aiuta a crescere. Noi siamo fatti per l’eccezionalità, non certo per la banalità, ma l’ideale della vita è che l’eccezionalità, cioè questa grandezza, possa essere sperimentabile dentro la normalità, dentro il quotidiano. Per cui insieme alla domanda iniziale - «Come si fa a vivere?» - ne sorge subito un’altra: «Qual è il nostro compito? Cosa stiamo a fare al mondo?» Scrive Tolstoj: "Esaminai la vita di enormi masse di uomini sia di quelli passati sia di quelli contemporanei. E di uomini che avevano capito il senso della vita, che avevano saputo vivere e morire io ne vedevo non due, tre, dieci, bensì centinaia, migliaia, milioni. Ed io fui preso da amore per quegli uomini. Quanto più penetravo nella loro vita di uomini viventi e nella vita degli uomini che erano già morti, dei quali leggevo o sentivo raccontare, tanto più io li amavo, e tanto più mi diventava facile vivere". La vita è indistruttibile, al di là del tempo e dello spazio. La vita è l'anelito al bene. L'anelito al bene è la vita. Dice Lev Tolstoj che la vita è stata data agli uomini per la loro felicità, loro devono solo viverla al modo giusto. Se la gente si amasse, invece di odiarsi a vicenda, la vita sarebbe una continua felicità per tutti. C'è un solo modo per far sì che la vita divenga più felice ed è che le singole persone divengano più buone. Vivere una vita buona significa dare agli altri più di ciò che prendiamo loro.


mercoledì, febbraio 21, 2024

Sapere non basta. Desiderare nemmeno.

 


Non sempre individuare quel che va male corrisponde ad avere un'altra idea di “bene”. Ma quand'anche lo si sapesse o intuisse, per contrapporsi non bastano gli uomini di buona volontà allertati. 
Devi anche sapere che negli ultimi tempi verranno momenti difficili. Gli uomini saranno egoisti, amanti del denaro, vanitosi, orgogliosi, bestemmiatori, ribelli ai genitori, ingrati, senza religione, senza amore, sleali, maldicenti, intemperanti, intrattabili, nemici del bene, traditori, sfrontati, accecati dall’orgoglio, attaccati ai piaceri più che al prossimo, con la parvenza della pietà, mentre ne hanno rinnegata la forza interiore.
Guardati bene da costoro o
 allertati dall'idea benefit di comunanza. Il sistema e la sua modalità liquida ci ha corroso, intorpidito, asservito, addomesticato. E seguiterà per generazioni anche se dovessimo ripartire dalla clava da domani mattina. Identificare ciò che non va non sempre equivale ad avere chiarezza sulla cosa giusta. E soprattutto comunicarselo in modo da trasformarlo in azione sovversiva.
Tante anime di buona volontà non fanno in automatico un “pensiero” da cui una dottrina, da cui un'azione. E, conciati come siamo c'è un'unica speranza (che speranza non è) che scenda in campo (meglio in terra) un portatore sano di alternativa. Ma la logica vorrebbe che sorgesse dal basso mentre ormai siamo solo in condizione di sentire dall'alto. Perché il basso siamo noi. Che, muti e rassegnati, indignati solo a metà, continuiamo a digerire fino a farci scoppiare la bile.
Sapere non basta. Desiderare nemmeno.


                                       Rassegnazione per principianti 

Tu non cercare nulla. Non c'è niente da trovare,
Niente da capire. Accontentati.
Quando verrà il loro tempo fioriranno i tigli
Sopra la tomba scavata di fresco.
Quando verrà il suo tempo si dissiperà il buio,
Scintillerà la luce rinata.
Niente è concluso, tutto continua.
E tu sarai allegro. O forse no.
Tra sparire e ricominciare
L'impossibile accade.
Come e perché non è stato svelato.
Suona nuova al principiante l'antichissima melodia.
Per cercare il senso profondo, non sprofondare.
Tu non cercare. Così lo troverai.

                                                      Mascha Kaléko 

domenica, febbraio 18, 2024

Il corpo umano

 


Io mi chiedo e chiediamocelo tutti, dove sono finiti centinaia e centinaia di bambini che sono arrivati con i barconi? Che non sono registrati, che non sanno neanche il loro nome? Cosa ne pensate: la donazione degli organi a fine vita dovrebbe essere obbligatoria, e lo credo anch’io. A che serve, lasciare imputridire la carne, quando qualcuno anela a vivere, come è giusto che sia? Il gesto più bello del mondo, un atto di generosità estrema tra un essere umano che perde la vita e un altro, ammalato, che la riacquista grazie alla donazione di organo. Quando si salva un bambino con una malformazione cardiaca o una ragazza con un’epatite fulminante grazie alla donazione accade qualcosa di meraviglioso. E i progressi medici sono ormai così consolidati da rendere il trapianto un intervento salvavita ma soprattutto duraturo nel tempo. In Messico sparisce un numero impressionante di uomini, donne e bambini anche proprio per il traffico di organi così come in Brasile. Ed i governi non se ne curano, in Messico per esempio le autorità locali accade spesso sono pure alleate di questi esseri spregevoli per prendersi anche loro una fetta del guadagno.  Nel Brasile quello che succede nelle favelas è da paura. A sfruttare la miniera umana ci pensa la mafia internazionale, assistita da agenzie di viaggio, società di trasporto ed enti sanitari. Pur di lucrare sulla disgraziata necessità di malati ricchi, professionisti in camice bianco (chirurghi, anestesisti e urologi) non esitano a causare la diminuzione permanente nella condizione fisica del donatore – inevitabilmente povero e spesso involontario. I guadagni ammontano a 15-20 volte il capitale investito. All’espianto un organo vale 5-10 mila dollari. Il suo prezzo al trapianto raggiunge i 70-100 mila dollari, fino a 250 mila, a seconda dell’organo e soprattutto della lunghezza della lista di attesa. Il prelievo di organi del corpo umano si sviluppa attraverso una catena commerciale complessa e ben strutturata che ha trovato terreno fertile in diverse zone del mondo.  Le stime indicano che il numero globale di trapianti commerciali – trapianti che comportano un pagamento per l’organo e quindi illegali – è di circa 10.000 all’anno, pari al 10% di tutti i trapianti. Nella maggior parte dei casi, l’organo venduto è un rene.
Il giro di affari è rilevante, stimato tra 600 milioni e 1,2 miliardi di dollari fino allo scoppio della pandemia.
Il mercato degli organi del corpo umano si pratica in diversi Paesi del Medio Oriente e in Nord Africa piuttosto che su altre zone del mondo interessate da questo sfruttamento – come la Cina o l’America Latina – Bisogna far luce innanzitutto su un mix drammatico di povertà, abusi, guerra, che caratterizza da troppo tempo queste aree.  Oltre 5 milioni di rifugiati sono le prede più facili da adescare per promettere denaro in cambio di organi. Dalla Turchia alla Siria, fino allo Yemen, alla Libia, all’Iraq e all’Egitto, la rete di disperati donatori e di broker senza scrupoli racconta storie di disumanità e di crimini che ormai vanno avanti da anni, con pochissimi progressi a livello giuridico. Nel mirino c’è soprattutto l’Egitto, considerato il vero centro del “mercato rosso” dell’intera regione. Nel 2010 il Paese ha adottato il Transplantation of Human Organs and Tissues Act proprio per arginare il vergognoso fenomeno della vendita di reni e fegati che stava preoccupando il Governo, soprattutto per la reputazione nei confronti dei turisti stranieri.

giovedì, febbraio 15, 2024

Storie strane

 


Dalla morte non si ritorna ma dalla “premorte” in alcuni casi sembrerebbe di sì e il percorso a ritroso verso questo mondo cambia per sempre il viaggiatore che diventa più empatico e fiducioso nel senso ultimo della vita. Questo è almeno ciò che pensa Pim van Lommel, cardiologo olandese, che ha dedicato la vita a studiare i fenomeni di Nde (Near Death Experience), esperienza di prossimità con la morte possibili specialmente negli stati di coma temporaneo o di arresto cardiaco. Nel suo libro “La coscienza oltre la vita” (Edizioni Amrita) fa una rassegna delle varie tipologie di Nde che spesso consistono in una sensazione rinfrancante di passaggio attraverso un tunnel, in direzione di una luce, altre volte sembrano permettere di osservarsi fuori da sé stessi come in un sogno. Van Lommel, insieme con alcuni colleghi, ha pubblicato su questi eventi un pionieristico e controverso studio su “Lancet” nel 2001. L’interpretazione delle esperienze al confine con l’al di là ha portato il medico olandese a formulare una concezione della realtà che attraverso vari richiami alla fisica quantistica ipotizza l’esistenza di una coscienza onnipervadente al di là dello spazio e del tempo che sorregge le nostre coscienze individuali. Van Lommel non usa toni da predicatore e ammette candidamente che la sua visione del mondo è un’ipotesi suggestiva ma indimostrata. La maggioranza dei neuroscienziati, che considera invece la coscienza come un prodotto del cervello, non giudica le sue spiegazioni scientifiche e spiega le esperienze Nde come una residua attività cerebrale non misurabile con l’elettroencefalogramma. Alcuni hanno riferito di aver visto una luce alla fine di un tunnel, mentre altri dicono di aver galleggiato sul proprio corpo, guardando i medici cercare di salvare la loro vita. Ma la verità dei racconti delle persone che hanno avuto esperienze di "quasi morte" è stata sempre discussa. Gli scienziati hanno, ora, scoperto che la coscienza di una persona continua a funzionare anche dopo che il corpo ha cessato di mostrare segni di vita, il che significa che l'individuo è consapevole della propria morte. E ci sono persone che rivelano che dopo essere "quasi morti " (ovvero che il cuore ha smesso di battere per qualche minuto) sia riuscito a sentire la propria morte annunciata dai medici. Studi dimostrano: il cervello continua a funzionare per ore dopo la morte.
Noi non possiamo scegliere la modalità del funzionamento della morte. Certo, sarebbe (un sacco bello) se il morire fosse come il dormire. Ti giri su un fianco, cominci a pensare, e il momento che passi dallo stato di sveglio al sonno non riesci nemmeno a percepirlo. Tutto tranquillo, nessun dolore e tunnel luminosi.
Lommel parla di quello che accade dallo stato di pre-morte, e non della morte, al ritorno alla vita.
Parliamo dei risultati di una ricerca scientifica fatta da Peter Fenwick, neuropsichiatra londinese, e Sam Parnia, ricercatore clinico all'ospedale di Southampton. Per un anno i due hanno studiato 63 casi di pazienti sopravvissuti ad arresto cardiaco. Alcuni hanno parlato di sensazioni di pace e gioia, tempo accelerato, perdita di percezione del corpo, di una luce brillante e dell'ingresso in un altro mondo.
Questo è un post dove persone affermano fatti strani. Io credo nella loro sincerità, ma assolutamente non è possibile affermare l'esistenza dell'anima.
Per esempio, nel pieno di un infarto cardiaco il cervello potrebbe inviare segnali alla pupilla che restringendosi possa dare la sensazione di vedere un tunnel, oppure in un ictus cerebrale il sangue che esce potrebbe riportare in superfice la visione di un volto conosciuto.
Inoltre, nei miei pensieri non c'è spazio per fantasie paradisiache.



sabato, febbraio 10, 2024

Una realtà piena di incubi

 


Franza Kafka, la bambina e la bambola. Una storia vera.
Passeggiando per il parco Stiglitz, a Berlino, lo scrittore boemo incontrò una bambina, Elsi, che piangeva disperata: aveva perduto la sua bambola preferita. Colpito dalla sua disperazione, riuscì a trovare un espediente dolcissimo, inventando una storia per spiegare la sparizione, lasciando a tutti noi una indimenticabile quanto veritiera lezione di vita: “Tutto ciò che ami probabilmente andrà perduto, ma alla fine l’amore tornerà in un altro modo”.
Kafka è una delle maggiori figure della letteratura del XX secolo e importante esponente del modernismo, del surrealismo e del realismo magico.
Kafka geniale. I suoi racconti un mito del surreale e del fantastico. E di certo il punto d'arrivo che immaginava non ha nulla a che vedere coi nostri.
Anzi, mi chiedo, la nostra società oggi ha un punto d'arrivo? A me sembra piuttosto che ci sia un grande smarrimento, tutti travolti dal niente, non c'è osservazione, non c'è ragione. Discorso generalizzato, ci sono le dovute eccezioni, per fortuna.
Esiste un punto d'arrivo, ma nessuna via; ciò che chiamiamo via non è che la nostra esitazione.
Gli uomini diventano cattivi e colpevoli perché parlano e agiscono senza figurarsi l'effetto delle loro parole e delle loro azioni. Sono sonnambuli, non malvagi.
Il punto di arrivo di Kafka rappresenta la nostra realtà, quindi coincide con il comportamento umano.
A Kafka sono associate visioni opprimenti di un chiuso mondo di colpa, di un uomo prigioniero di prospettive inquietanti e di paradossi angosciosi e insolubili: infatti le più famose opere di Kafka, il romanzo Il processo, i racconti la metamorfosi, Il verdetto, nella colonia penale , narrano di colpe innominate e innominabili, di punizioni, di terribili esecuzioni; tanto che l’aggettivo *kafkiano* viene usato oggi, anche da chi Kafka non l’ha mai letto, ad indicare una situazione assurda, allucinante, angosciosa e incomprensibile a un tempo.
L'argomento di questo post è il confronto tra esperienza e ragione, ma i commenti sono tutti dedicati a Kafka, perché lo scrittore boemo riesce sempre a calamitare il pensiero dell'uomo che vive una realtà piena di contraddizioni piena di incubi.
Per Giussani si conosce solo ciò di cui si fa esperienza, ma l’esistenza del Mistero (che per Kant è una pura idea della ragione, un passaggio indebito dal fenomeno a qualcosa di oltre) per Giussani è una conoscenza “implicata” nella stessa esperienza: “Che la ragione – scrive Giussani nel Senso religioso – si senta ‘forzata’ a cercare altri princìpi, tale ‘costrizione’ è implicata nell’esperienza, è un fattore dell’esperienza stessa: negare questo passaggio è contro l’esperienza, è rinnegare qualcosa implicato in essa”.

martedì, febbraio 06, 2024

È nel dare che riceviamo

 


Non a caso il solitario risolve (e male) il problema della solitudine come ultima spiaggia, mentre altri sono fin troppo esigenti (Anonimo).
In pochi però si presentano disponibili con tutti (o quasi) soprattutto quando le energie vitali non lo permettono.
Io non mi sono mai sentito solo, almeno per ora, perché ho sempre percepito la presenza delle persone a cui voglio bene intorno a me. D'altro canto, al contrario, soprattutto tra i miei amici, mi è capitato di percepire il loro sentirsi soli.
In questo caso penso che sia necessario chiedere ed ascoltare la risposta e far comprendere che, nonostante tutto, una presenza su cui contare c'è.
Tuttavia, penso che il più delle volte il sentirsi soli ha a che fare con sé stessi e che la soluzione, quindi, possiamo essere proprio noi.
I fatti negativi della vita spengono la capacità di amare. Qualche errore lo facciamo noi e cattiverie arrivano dagli altri.
Riflettere e aspettare che l'affettività si riprenda un po' alla volta. Il problema si risolve con un incontro, quello che il tuo cuore andava cercando. A me è successo così.
Tra l'essere solo e percepire la solitudine c'è una grande differenza. Quando sei solo ti manca una presenza, che può essere la moglie o il marito, una fidanzata o il fidanzato. Ne senti la mancanza e la sofferenza ti può schiacciare, ma passa con il cessare della causa che l'ha provocata.
Sentirsi isolati, invece, non dipende dell'assenza dell'altro, perché i tuoi affetti li hai accanto a te.
Il sentirsi isolato è una sensazione tremenda. Hai tante persone attorno, anche la moglie e i figli, eppure senti una grande solitudine. Significa che il tuo egoismo è incapace di percepire l'amore degli altri.
Questo sentirsi isolato, secondo Cesare Pavese, si cura in un solo modo, andando verso le persone e "donando" invece di "ricevere". Si tratta di un problema morale prima che sociale e bisogna imparare a lavorare, a esistere, non solo per sé ma anche per qualche altro, per gli altri, per le persone che credi di amare. Finché uno dice "sono solo", sono "estraneo e sconosciuto", "sento il gelo", starà sempre peggio. È solo chi vuole esserlo. Per vivere una vita piena e ricca bisogna andare verso gli altri, ascoltare le loro esigenze, i loro desideri e aiutarli a ottenere quello che cercano.
Però magari si sente solo perché circondato da persone che lo fanno sentire solo. Non sempre siamo circondati dalle persone giuste. Spesso succede negli ambienti di lavoro, nelle comitive e in alcuni casi, purtroppo in alcuni casi succede anche in famiglia. Poi ci si può sentire soli perché si hanno idee diverse del gruppo a cui si appartiene: a scuola, al lavoro, tra gli amici. E' complicato secondo me. Poi certo, bisogna donarsi agli altri, ma anche gli altri devono donarsi a noi. Dovrebbe essere una cosa reciproca, è vero che l'amore è essenzialmente dare, ma ciò non significa che non si debba ricevere, e con ricevere intendo il desiderio dell'altro di condividere qualcosa con noi che crede di amare. L'amore è uno scambio, tutti devono donare.
In un mondo come il nostro, spesso ammalato di individualismo e di egoismo, affascina incontrare persone capaci di amare e di donare senza riserve. Tutto questo è possibile perché Dio ha creato l’uomo per amore e lo chiama all’amore. La fondamentale vocazione di ogni uomo è quella di amare. È l’amore che dà significato alla vita. «L’uomo non può vivere senza l’amore. Egli rimane per sé stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso se non gli viene rivelato l’amore, se non si incontra con l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente» 
(Giovanni Paolo II, Redemptor hominis, n. 10).



venerdì, febbraio 02, 2024

Hegel lo preferisco a Schopenhauer

 


Hegel rappresenta il caso più lampante di Romanticismo non pessimista: egli è convinto che l’uomo possa, avvalendosi della ragione, raggiungere l’infinito. È uno dei filosofi più ottimisti della storia per questo esorcizza anche il negativo, che è solo un momento, un passaggio obbligato verso la certezza del Mistero.
Poiché l'uomo non è in grado di valutare anche in chiave prospettica il positivo e il negativo, ogni accadimento della sua vita necessita di una lettura diversa.

Hegel a sostegno della sua tesi cita Seneca:

“Preso dal vortice del lavoro e degli impegni, ciascuno consuma la propria vita sempre in ansia per quello che accadrà e annoiato di ciò che ha. Chi invece dedica ogni attimo del suo tempo alla propria crescita, chi dispone ogni giornata come se fosse la vita intera, non aspetta con speranza il domani, né lo teme (Seneca)".

Il tempo si pone come qualcosa che è distinguibile in parti e quindi divisibile: presente, passato e futuro. Ma queste parti del tempo, che costituiscono l’orizzonte della nostra vita, quando vengono analizzate, diventano prima inafferrabili per poi quasi dissolversi: passato e futuro, infatti, sembrano appartenere piuttosto al nulla che all’essere, sono varianti per così dire del nulla: giacché l’uno non è più, l’altro non è ancora. E tuttavia l’uno costituisce il distendersi e l’accumularsi nella nostra memoria dell’esperienza del nostro trascorrere cioè vivere, l’altro si pone come l’apertura dell’orizzonte del nostro agire, cioè del nostro rapportarci al mondo secondo i nostri bisogni, paure e speranze. Lo stesso presente, nella sua riduzione al puro punto senza estensione, mostra di non poter avere nessun carattere di permanenza e di stabilità come pure sembra richiedere la nostra ingenua concezione del presente.

L'opposto di Hegel è sicuramente Schopenhauer che afferma che la vera essenza della realtà è dolore, è sofferenza perenne. Volere significa infatti desiderare ed il desiderio è mancanza di qualcosa, vuoto, dolore.
Scrive Schopenhauer: «Nessun oggetto del volere, una volta conseguito, può dare appagamento durevole (…) bensì rassomiglia soltanto all’elemosina, la quale gettata al mendicante prolunga oggi la sua vita per continuare domani il suo tormento».
Tra il dolore e il piacere si colloca la noia, che è la situazione in cui viene a trovarsi l’uomo nel momento in cui placa temporaneamente i suoi desideri.
   

Anche Kierkegaard critica Hegel. Afferma che l’errore della filosofia moderna e di Hegel sta nel fatto di voler “comprendere” la realtà: la realtà non si lascia comprendere, se con ciò si intende il trasformarsi della realtà in realtà pensata, perché così non la si mantiene come realtà. Quindi, il comprendere è un regresso rispetto alla realtà.


sabato, gennaio 27, 2024

Analisi lemma *fede*




Si chiama fede, conoscenza per fede, il riconoscimento della realtà attraverso la testimonianza che porta uno, che si chiama appunto testimone o teste. È una conoscenza della realtà che avviene attraverso la mediazione di una persona fidata, adeguatamente affidabile. Io non vedo la cosa; vedo soltanto l'amico che mi dice quella cosa, e quell'amico è una persona affidabile; perciò, quello che lui ha visto è come se l'avessi visto io. Quindi la fede, prima di tutto, non è soltanto applicabile a soggetti religiosi, ma è una forma naturale di conoscenza, una forma naturale di conoscenza indiretta: di conoscenza però! La ragione è una cosa viva che, perciò, per ogni oggetto ha un suo metodo, ha un suo modo, sviluppa una caratteristica dinamica, ha anche una dinamica per conoscere cose che non vede direttamente e che non può vedere direttamente, le può conoscere attraverso la testimonianza di altri: conoscenza indiretta per mediazione."
Mia figlia torna a casa tutta emozionata e mi dice: "Papà, mentre andavo dal parrucchiere ho visto un'autovettura che ha investito un passante. È arrivata l'autoambulanza, ma ormai era morto".
Io non ho visto l'incidente, ma credo a mia figlia perché la reputo una testimone attendibile.
Questo fenomeno è una testimonianza per fede.
Cristo, nel suo lungo peregrinare parlava e la gente ascoltava.
Chi lo aveva sentito lo raccontava a un conoscente e questi a un'altra persona. Qualcuno che conosceva Cristo ha cominciato a scrivere le sue parole. Anche chi non lo conosceva, basandosi su una testimonianza credibile, ha fatto altrettanto. Così sono nati i Vangeli, le prime comunità di credenti e infine la Chiesa.
La cultura, la storia e la convivenza umana, si fondano su questo tipo di conoscenza che si chiama fede, conoscenza per fede, conoscenza indiretta, conoscenza di una realtà attraverso la mediazione di un testimone.
Tu sei certo che Napoleone sia esistito? Lo hai conosciuto? No, di certo, ma ci credi perché è scritto nei libri di storia.
Due evangelisti, Matteo e Giovanni, apostoli di Gesù, hanno scritto servendosi della propria personale memoria.
Gli altri due, Marco discepolo di Pietro, e Luca, discepolo di Paolo, attingendo ai ricordi e alle testimonianze.
Ognuno racconta le parole di Cristo in base alla propria sensibilità. Le discordanze possono essere casuali, come i ladroni, cioè momenti diversi dello stesso fatto o dimenticanze. Le parole di Gesù non venivano scritte perché sulle tavolette era scomodo, mentre i fogli di papiro erano costosissimi. In entrambi i casi scrivere era un procedimento estremamente laborioso, che non poteva essere usato nella vita quotidiana e nel rapporto maestro-discepoli.
I Vangeli riconosciuti dalla Chiesa sono quattro, gli altri non vengono reputati attendibili.


mercoledì, gennaio 24, 2024

Così parlò Zarathustra

 


Secondo Nietzsche, Dio è stato ucciso nell’indifferenza e nella disattenzione con la furbizia e il compiacimento dell’uomo mediocre.
Dio è morto tra uomini addomesticati e vili, senza la tragedia che l’enormità del fatto avrebbe dovuto comportare. L'uomo non fa quello che chiedi. È incapace di superare gli egoismi e il tornaconto personale. Dio è morto è una celebre frase del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche, riportata nelle sue opere, *La gaia scienza e Così parlò Zarathustra*. Dio non è stato mai al centro. Pensa a Eva e Adamo. Pensa alla morte in croce di Cristo. Severino, il grande nichilista italiano, vede nella morte di dio il passaggio del potere dall'Occidente all'Oriente. Non è un post pessimista. È la realtà. Del resto, dio è stato chiaro. Si incarna in una umile fanciulla di 14 anni e nasce in una mangiatoia. Subito viene perseguitato dall'uomo e ammazzato da Roma e dalla chiesa di quel tempo. Dio non è il nostro avvocato, Dio non è responsabile dell'esistenza del campo di concentramento di Auschwitz, del Covid e delle RSA.A qualcuno potrebbe sembrare troppo pessimista questo post. Il fatto è che l'uomo tende a ritenersi onnipotente: dovrebbe riscoprire il valore della vita e anche ricordare la morte, mentre oggi la morte diventa anche guerra d'opinione con il Covid. La scienza ha dovuto giocoforza oltrepassare più di una volta Colonne d'Ercole metaforiche per arrivare agli attuali sviluppi, ma come detto un paio di "post" fa, la scienza è in mano agli uomini, ed ecco che vengono inventati ordigni sempre più distruttivi. Dio è morto e non è più centrale, come la religione. È vero che ci sono stati anni di buio anche quando Dio era al centro.
Non è colpa di Dio, è colpa degli uomini. E degli squallidi giochi di potere che spesso hanno coinvolto anche la Chiesa.
Dio ci dona vita e respiro, poi siamo noi a farne uso. Buono o cattivo. Esiste la malattia, la morte cattiva. Dio ha donato all'uomo il *libero arbitrio* Come se con una tavola con tutto il disponibile per mangiare, tu ti ingozzi e muori. È colpa di chi ha apparecchiato?
Provate a leggere S. Agostino, così ho inquadrate il tempo, il contesto e la persona. Si resta affascinati. Il teologo è estremamente moderno eppure antico. C'è sempre da imparare. Qualcuno di noi nasce con una vocazione. Pittura, canto, ballo e altro. È qualcosa di bello. Altri si ritrovano a fare lavori solo come sbocco occupazionale. Allora si trovano cattivi medici, pessimi professori. La RSA dipende dal progresso della medicina che allunga la vita. Chi ha i soldi trova una badante ucraina e riesce a evitare il ghetto. Ampliando la visione della vita possiamo verificare che i "dimenticati" sono tantissimi.


È tutto.


lunedì, gennaio 15, 2024

Muoio come un re

 



Meditare significa situare le cose al loro posto. Ecco allora la grandezza ultima dell'uomo profilarsi all'orizzonte: essa risiede nel riconoscere alle cose il loro posto, cioè il loro significato.
Diceva Luigi Giussani: "In una società come la nostra non si può creare qualcosa di nuovo se non con la vita: non c’è struttura né organizzazione o iniziative che tengano. È solo una vita diversa e nuova che può rivoluzionare strutture, iniziative, rapporti, insomma tutto". Viviamo in un mondo, in una società che esalta l’autonomia dell’uomo. Se da un lato quest’autonomia è fortemente minacciata dalla negazione dei diritti dell’uomo, dall’altro si esprime come forte domanda sulla soggettività e di rispetto dell’uomo visto nella sua globalità. Non è più sentita la responsabilità individuale, perché ci si appoggia quella collettiva. L’uomo di fatto ha perso la percezione del peccato. 
È indispensabile imparare a convivere con gli altri, essere solidali, assumersi responsabilità comuni per realizzare un progetto umano. Dare il giusto valore a sentimenti che dentro di noi proviamo, i sentimenti sbagliati, che ci inducono ad azioni sbagliate: noia, prepotenza, indifferenza, gelosia, invidia, odio, maldicenza, orgoglio, presunzione. Scoprire dentro di noi la nostra “nudità” e aver voglia di rivestirci di sentimenti buoni e accoglierli con umiltà. Madre Teresa di Calcutta racconta di quando era una giovane suora e s'imbatté in un povero moribondo abbandonato in mezzo alla strada. Lo accolse in casa sua, lo medicò, si prese cura di lui (Pare la parabola del buon Samaritano...ma è storia dei nostri giorni). Poco dopo l'uomo morì, ma prima di morire pronunciò queste parole: "Ho vissuto tutta la vita come un cane e muoio come un re". 
Cosa aveva visto quell'uomo negli occhi della Santa? Ciò che io non cerco negli occhi del mio prossimo. La vita è anche una splendida lunga confessione.


venerdì, gennaio 12, 2024

Persone terribilmente normali

 



Hannah Arendt scrisse nel libro *La banalità del male* che la normalità di Otto Adolf Eichmann era la più spaventosa di tutte le atrocità poiché implicava che “questo nuovo tipo di criminale commette i suoi crimini in circostanze che quasi gli impediscono di accorgersi o di sentire che agisce male.”
Eichmann era un funzionario e criminale di guerra tedesco considerato uno dei maggiori responsabili operativi dello sterminio degli ebrei nella Germania nazista.
Eichmann era l’esempio di un male che andava oltre le sue forme tradizionali, non era una malvagità intenzionale, né una patologia dagli effetti malvagi, né un insieme di idee che spingessero a compiere il male, era un individuo scioccante, perché contraddiceva le loro teorie sul male, perché non ha radici in nessuna figura tradizionale, è un male che si può espandere come un fungo sulla superficie del mondo intero.
La banalità del male della Arendt è un libro che sarebbe d’obbligo leggere per conoscere le atrocità commesse, per capire l’animo umano quanto possa essere banalmente malvagio e spietato e per poter avere un’idea reale di ciò che è accaduto in quei terribili anni del Nazismo.
La banalità del male sta nel fatto che i burocrati del Reich erano in realtà tutte persone "terribilmente normali" che erano però capaci di mostruose atrocità per il semplice fatto che non si fermavano a riflettere sugli ordini a loro dati e che il loro pensiero restava limitato alle leggi di Hitler che dovevano essere eseguite.

Da: "I sommersi e i salvati" di Primo Levi".

....chi erano, di che stoffa erano fatti i nostri aguzzini. Il termine allude ai nostri ex custodi, alle SS, e a mio parere è improprio fa pensare a individui distorti, nati male, sadici, affetti da un vizio d'origine. Invece erano fatti dalla nostra stessa stoffa, erano essere umani medi, mediamente intelligenti, mediamente malvagi, salvo eccezioni, non erano mostri ma erano stati educati male. Erano in massima parte gregari e funzionari rozzi e diligenti, alcuni fanaticamente convinti del verbo nazista o paurosi di punizioni o desiderosi di fare carriera…Sia ben chiaro che responsabili, in grado maggiore o minore, erano tutti."





martedì, gennaio 09, 2024

Il blog ci rappresenta

 


È un post “aperto”, ognuno può mettere il finale che gli è più consono.
Per me la rete è una possibilità di espressione e di comunicazione, “col mondo intero”.
Non ritengo importante conoscere il “privato” delle persone e nemmeno farmi conoscere “nel privato”, anche perché la sostanza di una persona la si percepisce dalla modalità e dai “contenuti” che offre.
Come nella vita reale prendo a cuore le persone e quando “le perdo” ne sono sinceramente dispiaciuto.
Il blog è vita reale, certamente. È uno dei modi con cui diamo la nostra impronta personale al mondo. È uno dei modi con cui creiamo nuove relazioni e momenti di confronto.
Confronto che a volte può non essere agevole, sul blog, ma anche su altri social, perché il confronto può allargarsi e quindi "complicarsi".
Attraversando alcuni blog o forum mi è sembrato che ci sia una tendenza a preferire le astrattezze e la fuga evasiva dalle varie e contrastanti forme della vita. Se si tenta di esaminarne qualche aspetto concreto e quotidiano, anche in modi non complessi, risulta veramente fuori portata di comprensione, ma se viene percepito dissonante con una propria visione del mondo credo spesso si finga di non capire, si “fraintende”, si ricorre a digressioni, si disconferma, ecc. È certo più facile il gioco in cui, viceversa, si finge di capire improvvisate e incomprensibili divagazioni in conniventi rimandi con l'illusione di apparire sapienti, ma in realtà incapaci di riconoscere i punti salienti o ineludibili del tema in esame.
Penso che i blog siano molto più reali di quanto non si possa pensare. Alla fine, credo, chi lo fa con sincerità, mostra tutto sé stesso, la propria intelligenza, la propria capacità e anche la propria imperfezione. Penso che, se anche volessimo mostrare d'esser diversi da quello che siamo, bene o male, la realtà sale a galla.
Ci sono tanti modi di usare il blog, per alcuni è un'arma vera e propria, per altri è un gioco, per altri ancora, uno specchio storpiato della propria identità…io ho trovato molti amici per cui vedo un aspetto positivo.
Personalmente trovo questo strumento un'altra importante possibilità espressiva.
Nulla di virtuale quindi se non per la maggiore difficoltà di comunicare.
Inevitabilmente il blog ci rappresenta, soprattutto quando uno lo fa con passione, non può non metterci la sua anima, la sua personalità. Nei rapporti è vero che a volte si vede un po’ di *
affectation*, ma credo sia anche dovuta al fatto che il virtuale dà spesso origine ad equivoci, anche perché non è possibile inserire il tono della voce.


domenica, gennaio 07, 2024

Facciamoci il meno male possibile

 


Quando una coppia è tale si diventa una persona sola. A volte non serve chiedere a cosa stai pensando? Perché i suoi pensieri sono i tuoi. L'amore vero è quello che anche dopo mezzo secolo, quando ti dà un appuntamento e la vedi da lontano ti emozioni. Ti compiaci della sua voce del suo odore e soprattutto capisci al volo quando ha bisogno del tuo aiuto.
La costruzione di un rapporto è una storia di crescita condivisa: nel matrimonio si condividono il progetto di vita, la prole, la socialità e molte altre cose. Credo che l'elemento cardine resti comunque la condivisione... anche o forse soprattutto delle responsabilità.
Quando questo manca i rapporti sono squilibrati e possono finire, ma la separazione in sé non è il male assoluto: c'è di molto peggio in effetti. La crescita è comunque una storia di separazioni a partire dalla nascita, quando ci si separa dal corpo della madre.
La conflittualità che di solito accompagna una separazione coniugale è la cosa più nociva, la stigmatizzazione sociale della donna separata e dei figli di coppie separate produce danni: queste cose sono qualcosa di molto peggio della separazione in sé.
Ho visto coppie stare insieme senza amarsi, perché le loro idee glielo imponevano. Le coppie innamorate si riconoscono subito, si guardano, si cercano, non riescono a stare l'uno senza l'altro. Perché senza, niente avrebbe più senso.
Bisogna essere consapevoli sin dall'inizio che non è tutto rose e fiori.
La nostra società è impaziente e allo stesso tempo pretenziosa.
Dopo la fase del corteggiamento, dei fuochi di inizio rapporto, poi c'è chi non riesce ad accettare quella che possiamo definire routine; ma la routine non è per forza negativa, anzi.
In genere subentra la nuova fase del rapporto amoroso, che porta alla nascita di un figlio (e quindi a convogliare il grosso dell'affetto e delle attenzioni verso di lui); ma non necessariamente, perché una coppia può anche vivere insieme per 70 anni anche senza figli.
Invece ci sono cinquantenni che sfasciano i matrimoni perché si mettono con una ventenne. Questo perché il cinquantenne si sente ancora un trentenne e vuole vivere la vita di un trentenne.
Oggi purtroppo vanno di moda questi rapporti dall'età sbilanciata che scompigliano molto le carte.