lunedì, agosto 29, 2022

Basta con il razzismo

 


La perdita della consapevolezza, della capacità di elaborare ciò che si è o si è stati è una delle peggiori sconfitte possibili, un fallimento conclamato sotto il profilo umano.
Io non credo né nei ripensamenti senza se e senza ma, né nella separazione tra vita e politica: certe rabbiose esternazioni sono il sintomo evidente dell'incapacità di rapportarsi e con il reale e con le proprie esperienze. Il proprio ombelico come unità di misura del mondo, quest'é ciò che nutre certe visioni del mondo in chiave di aggressiva rivendicazione esercitata nei confronti dei più deboli, che si vede sempre più spesso...
Che dire che non sia stato già detto? Forse che l'impressione peggiore me la fa la capacità di perdersi dietro dispute pseudo-politiche mentre ci sono persone in pericolo di vita, la capacità di ragionare sulla teoria della presunta correttezza mentre la sostanza umana si perde e muore.
“Una tedesca bianca e ricca, nemica dell’Italia”. Così è stata bollata in fretta e furia Carola. Che, a bordo della sua nave, solca il mare alla ricerca di persone sfortunate, rimaste sole tra le onde, e le soccorre. Senza farsi troppe domande su quale sarà la loro destinazione, su quale nazione le accoglierà. A lei non interessa: si avvicina, le strappa a quelle acque profondissime, dà loro una seconda vita, una nuova speranza.
Matteo Salvini: “Per la magistratura italiana ignorare le leggi e speronare una motovedetta della Guardia di Finanza non sono motivi sufficienti per andare in galera. Nessun problema: per la comandante criminale Carola Rackete è pronto un provvedimento per rispedirla nel suo Paese perché pericolosa per la sicurezza nazionale”. Carola Rackete, spiega Salvini, “tornerà nella sua Germania, dove non sarebbero così tolleranti con una italiana che dovesse attentare alla vita di poliziotti tedeschi. L’Italia ha rialzato la testa: siamo orgogliosi di difendere il nostro Paese e di essere diversi da altri leaderini europei che pensano di poterci trattare ancora come una loro colonia. La pacchia è finita”.
Perché questo signore ha la faccia tosta di candidarsi come Ministro degli Interni?

mercoledì, agosto 24, 2022

Donare senza ricevere

 




Guardando il mare arrivano pensieri straordinari suggeriti da San Francesco.

martedì, agosto 16, 2022

La menzogna annulla l'ideale







Che la destinazione di fatto dell'esistenza umana s'avvicini alla destinazione di diritto, quella per cui l'uomo è fatto, quella che rende l'uomo veramente se stesso, oppure si allontani da essa, dipende da una decisione che si rinnova nel tempo, quotidianamente e in molteplici modi. Dipende da una consuetudine, voluta o suggerita o imposta.
Anche il mutamento delle civiltà è esito di processi complessi riconducibili ad una sola causa.
Sicché si spiega come si possa considerare la divisione, il particolarismo e il rattrappimento della nostra attuale società come l'esito di un impegno costante di distrazione.

Impegno, perché non è un caso.

Costante, cioè non sporadico, se si vuole organizzato.

Di distrazione, perché trae, poco alla volta e per piccoli passi, da un'altra parte.

Per i cambiamenti di superficie basta un'inserzione pubblicitaria, o una voce grossa, o un'idea ripetuta ossessivamente, o una convenienza pratica.
Per i cambiamenti veri, che segnano la storia di un'intera epoca, ci vuole ben altro.
Una serie di atti che mutano la direzione fino a farci trovare con la faccia che guarda da un'altra parte.
La scrittrice americana Flannery O'Connor, in un suo racconto " La schiena di Parker", parla di un uomo che era come un ragazzo cieco, girato con tanta delicatezza da non accorgersi che la sua destinazione era cambiata. Il cambiamento era stato positivo e lo aveva condotto a un moto di stupore per se stesso fino a fargli venire in mente che c'è qualcosa di straordinario nel fatto di esistere.
Ecco, facciamoci girare la testa verso il lato giusto.
Descrivendo la situazione umana attuale, dice André Malraux: "Non c'è un ideale al quale possiamo sacrificarci, perché di tutti noi conosciamo solo le menzogne. Noi, che non sappiamo che cosa sia la verità". E' la più terribile definizione del cinismo che identifica l'atteggiamento dell'uomo d'oggi. Che l'uomo abbia la sua morale significa infatti che ognuno è dominato dalla morale dello stato, del potere, cioè dalla morale dei valori comuni, stabiliti da coloro che hanno i mezzi per farlo. Così, per una pressione osmotica irresistibile, tutti coloro che pretendono di avere una loro morale finiscono sotto il dominio della morale del Potere.


venerdì, agosto 12, 2022

Il dovere di fare chiarezza



C’è un abisso che separa la nettezza dell’ultimo periodo di Gianfranco Fini dall’impiastricciamento logico con cui la leader di Fratelli d’Italia, abile incarnazione del populismo italiano in versione destrorsa, risponde al quesito cruciale sul ventennio. E molto strano che il mondo della cultura latamente inteso, gli scrittori che parlano su tutto o i giornalisti à la page non abbiano notato criticamente il vistoso passo indietro della destra italiana da Gianfranco Fini a Giorgia Meloni: forse è perché nella brodaglia politico-culturale italiana si porta più agevolmente il cervello all’ammasso, e oggi in questo ammasso svettano le lodi per la leader di Fratelli d’Italia, abile incarnazione del populismo italiano in versione destrorsa, lasciata libera di dire la qualunque 24 ore su 24 senza che nessuno emetta un flatus voci. Male farebbe, la cultura italiana, se per punire Matteo Salvini chiudesse gli occhi sulla nuovo fenomeno meloniano considerato magari come una inevitabile bolla.
Eppure ogni coscienza critica dovrebbe rilevare piuttosto agevolmente l’abisso che separa la nettezza dell’ultimo Fini («Il fascismo è il male assoluto», Gerusalemme, 24 novembre 2003) dall’impiastricciamento logico con cui Giorgia risponde al quesito cruciale del giudizio sul fascismo con la trita contro-domanda: e allora il comunismo? Come se l’esistenza dei gulag giustificasse, o almeno ridimensionasse, quella dei lager, sorvolando sulla necessità morale e politica di condannare gli uni e gli altri per quello che furono concretamente, storicamente, politicamente.
Sentir parlare Giorgia Meloni di questioni alte è come ascoltare un alunno di terza media posto dinanzi a domande da terza liceo, situazione incresciosa in cui ci si rifugia nello scomodare categorie, in questo contesto, generiche come il totalitarismo evitando di entrare nel merito di quella reale esperienza storica del nostro Paese che si chiama fascismo e come tale, cioè proprio per la sua specificità italiana, richiamato come oggetto di divieto nella nostra Costituzione. Sta qui l’hic Rhodus hic salta che la giovane leader fa finta di non capire. Preferendo rilanciare tutto l’armamentario extra-sistema, se non anti-sistema, della destra estrema italiana: «È verissimo che FdI non è organico all’attuale sistema di potere e di influenze che governano la macchina dello Stato. Ne andiamo fieri. È il Pd il partito del deep State, come lo chiamerebbero gli americani, quello che rappresenta la difesa dello status quo in Italia e in Europa», ha scritto sul Corriere della Sera in replica a Ernesto Galli della Loggia suonando il piffero di una diversità se non antropologica almeno morale.
Il viaggio di Fini a Gerusalemme del 2003, quasi un ventennio fa, invece segnò uno spartiacque fra un prima ancora venato da scorie di ambiguità, malgrado Fiuggi, e un dopo che per ragioni tutte politiche non gli consentì di raccogliere i frutti della svolta. E all’epoca fu Amos Luzzatto, presidente delle Comunità ebraiche italiane, che aveva accompagnato Fini nella visita, a cogliere immediatamente la rilevanza dello strappo con il passato: «La grossa novità – disse Luzzatto – è che Fini abbia menzionato il termine fascismo», un termine che veniva sempre aggirato dai dirigenti del Movimento sociale italiano (al netto, ovviamente, delle esplicite rivendicazioni di continuità).
Ma come ha risposto varie volte Giorgia sul fascismo? «Io manco ero nata»: una delle risposte più stupide che si possano dare, come se un cittadino di oggi non potesse esprimersi sui campi di concentramento o comunque su pagine della Storia anche molto lontane. Ma per lei «il fascismo non è una peculiarità italiana», trucchetto retorico per annegare il peggior misfatto italiano («Non fummo tutti brava gente», ha mirabilmente sintetizzato Mario Draghi) nel minestrone del totalitarismo europeo (e allora perché non mondiale? Il Giappone dove lo mette?), semmai il problema è il sistema, ed ecco qui qualche eco rautiana, la corruzione, i poteri forti, chissà perché non si è ricordata di attaccare il complotto capitalista – forse per timore di sfiorare l’antisemitismo di ritorno. E così svicola, Meloni, con la scusa del comunismo (dovrebbe aggiungere reale per distinguerlo dalla sinistra italiana ma lasciamo perdere), evitando di prendere di petto il suo problema.
E dunque da tutto questo viene fuori non, banalmente, “il fascismo” della Meloni, perché nessuno immagina che una volta al governo, semmai ci andrà, istituirà tribunali speciali per gli antifascisti e farebbe vestire tutti d’orbace, no, quello che emerge è un clamoroso deficit culturale mescolato a una istintiva memoria dei tempi che furono, con tutti i miti, i riti, le goliardate e anche le tragedie di quando era una ragazza fra i tanti maschi mussoliniani del Fronte della Gioventù, esaltato in tv alla trasmissione di Nicola Porro, ed è dunque inevitabilmente «risospinta senza posa nel passato», come si conclude Il grande Gatsby. O se vogliamo buttarla un po’ in ironia, come al Peter Sellers del Dottor Stranamore a cui scattava meccanicamente il braccio, a Giorgia Meloni, più banalmente, sovviene un substrato di minorità intellettuale assieme a uno scarso, davvero scarso, coraggio politico.

(Mario Lavia)

martedì, agosto 09, 2022

Idiozia imbarazzante

 





"Non giudicate per non essere giudicati". E' ricorso alle parole di Cristo il 75enne vescovo di Chioggia Angelo Daniel, per giustificare il sacerdote sorpreso lunedì scorso in intimità con la moglie di uno dei fedeli. E nel paese è caccia all'identità del prete fedifrago.
L'episodio. La dinamica è da "pochade": "lui" rientra a casa prima del previsto e trova "lei" a letto con un altro. L'altro è un prete, elemento anche questo né nuovo né originale. Anzi, un intellettuale, perché il sacerdote colto in "flagranza amorosa" è docente di Sacre Scritture a Padova, alla Facoltà teologica dell'Italia Settentrionale. Il marito è sconvolto - e fin qui tutto normale" - si sfoga con il cognato e insieme vanno dal vescovo a chiedere giustizia.
E' qui che cominciano le curiosità. Innanzitutto, la Curia impedisce all'uomo di vedere il vescovo e chiama la polizia, perché "l'uomo era parso troppo agitato". Eccesso di precauzione, forse, ma vista l'età del prelato ci può stare. "Curiosa", invece, la valutazione del vescovo sull'accaduto.
Ammonisce "l'autorità morale" intervenendo sul giornale diocesano, 'La Nuova Scintilla': "non giudicare per non essere giudicati". E non dimentichiamo che "D'altra parte, pur essendo grande la responsabilità di un sacerdote che dovrebbe essere sempre per gli altri esempio e guida - rileva tra l'altro il Vescovo - non dobbiamo dimenticare che, a fronte di molti che per fortuna sostengono il prete, non mancano persone che direttamente o indirettamente, lo spingono a mancare." Insomma, lei l'ha provocato. Ma rassicura: "Se la debolezza ci accomuna - conclude - siamo certi però che c'è per tutti anche la misericordia e quindi il perdono di Dio".
Piena assoluzione per la scappatella, dunque, o un segnale di "modernità"? L'aut-aut spacca i chioggesi, che sono scatenati. Perché da lunedì è caccia al prete. C'è chi dice che "queste cose sono sempre successe e continueranno a succedere", chi si indigna perché non "lo avrebbe mai creduto", chi indulge di fronte alle debolezze umane perché e chi va al bar a giocarsi al lotto le età dei tre protagonisti. Ma lui non si è più visto: "è fuori Chioggia", fanno sapere dalle segreterie della Curia.
Non voglio contestare che la storia boccaccesca sia vera, ma come è stata riportata dai media somiglia molto a una barzelletta.
Ma secondo voi è possibile che un uomo, un cornuto, che trova la moglie nel letto a far sesso con un prete filosofo di 24 anni, la prima cosa che pensa sia quella di andare a protestare dal Vescovo?
E' possibile che un Vescovo sia così imbecille?


sabato, agosto 06, 2022

La qualità della vita è una bufala

 



Diceva Petrolini che siamo dei pacchi che l’ostetrico consegna al becchino. Nel tragitto percorso dai pacchi suddetti la mentalità corrente ha inserito un obbligo cogente che aggrava la situazione: la «vita» deve essere di «qualità», sennò non la vogliamo. La minaccia dell’anticipata consegna al necroforo del pacco di qualità inferiore a quella pattuita non è altro che la forma estrema di quell’infantilismo che ha cominciato a contagiare il pianeta nel Sessantotto. Ricorda infatti il ricatto sentimentale del bambino capriccioso di fronte al papà: se non fai quello che voglio, non mangio. Sottinteso: mi faccio del male per farti soffrire, giacché so che a me tieni. Forse non a caso la pratica degli scioperi della fame è una forma di protesta cominciata proprio col Sessantotto. Il problema è di definizioni: cosa vuol dire «qualità della vita»? So già che i più credono di saper rispondere a questa domanda, ma la questione è più sottile. Ai tempi della filosofia scolastica l’arte della definizione era considerata di somma importanza e necessariamente propedeutica a ogni ragionamento. Se non ci si metteva preventivamente d’accordo sulle definizioni si rischiava il parlare a vanvera, il dialogo fra sordi, l’equivoco. Infatti, «definire» vuol dire letteralmente «mettere dei confini», «delimitare». Solo dopo essersi accordati su quel che una cosa è e su quel che non è si può cominciare a dialogare, dibattere, discutere. Invece, la fondamentalissima «qualità della vita» rimane ancora nel vago; tutti credono di sapere in cosa consista ma un’indagine approfondita rivelerebbe una variegata panoplia di opinioni. Certo, se si tratta di un malato senza speranza e che magari soffre atrocemente, allora è facile.
Ma, a ben pensarci, un obeso, un povero, uno sfortunato cronico, un brutto, un antipatico si può dire che abbiano una «qualità della vita» tale da renderli contenti?
La qualità della vita, per la società dell'apparenza è: essere benestanti, avere il macchinone, fare le vacanze invernali ed estive in posti "cool".
Non c'è niente di più sbagliato.
La qualità della vita è un parametro soggettivo: la nostra vita è di qualità in primo luogo quando siamo soddisfatti di quello che facciamo: quando possiamo fare "le cose che ci fanno stare bene".
Poi c'è un altro parametro: la qualità della vita è data dal numero di rapporti che riusciamo a costruire e quanto questi rapporti siano profondi e ci facciano arricchire, sotto ogni profilo: facendoci maturare, facendoci emozionare, divertire.
La sfortuna "cronica" non esiste. L'antipatico può cercare di migliorarsi, il brutto beh, dovrà puntare su altre doti .




lunedì, agosto 01, 2022

Trasmettere la passione

 


Mi è capitato di rivedere i suonatori ambulanti ai quali, tempo fa, regalai un libro invece che qualche euro. Venivano dalla Moldavia; lei, un violino, lui, una fisarmonica. Posai nella custodia del violino, aperta per accogliere le offerte dei passanti, un romanzo che narra gli accadimenti occorsi durante lo studio e le prove della "Grande Fuga di Beethoven". Il titolo è: “Per un attimo immenso ho dimenticato il mio nome.” E’ un romanzo duro di Roberto Cotroneo nel quale si muovono i personaggi del quartetto di archi: due di loro, ossessionati dalla ricerca di qualcosa che restituisse un senso alla memoria del loro passato, di qualcosa che ricomponesse i loro ricordi in un quadro mnemonico di senso compiuto. Mi piacque credere che quella coppia di moldavi, sballottolati a migliaia di chilometri dalla loro casa, potessero ritrovare il loro nome nella musica, invece di sentirsi fantasmi vaganti per le strade d’Italia. Non sapevo se avessero una conoscenza della lingua italiana che permettesse loro la lettura del libro, ma non m’importò: certamente avrebbero compreso che si trattava della Grande fuga di Beethoven. Di una musica… ma sì, forse fate prima a sentirla. Sere fa li ho rivisti ed ascoltati. Lui sempre uguale, con la sua giacca di pelle ed i jeans, suona ancora meglio di quanto facesse. Lei è diventata bella, curata, indossava una gonna alla moda, calzava stivali, si è fatta crescere i capelli e li ha tinti di scuro; ma non suona bene come qualche tempo fa. Succede. Loro erano pronti a staccare il tempo, laggiù. Li vedevo come si vede un film proiettato dagli occhi per gli occhi, sulla parete. Quella ragazza moldava non suona più bene. Perché? Perché adesso recita la musica ad un pubblico, anziché suonarla? Sente il pubblico e non sente più la musica? Succede.  Perché quando sei bambino, nemmeno capisci cosa significhino le parola “un certo talento”: credi sia un gioco e giochi. E aste e crome e aste e solfeggio e poi, all’improvviso, da quell’ammasso di ferraglia e legno, esce un suono, poi una melodia; credi si tratti di un gioco, sei piccolo, che ne sai che non sarà così? Nessuno ti spiega che non è così e aste e crome e crome ed aste e crome ed aste e ancora crome ed aste. E quello che si dice essere un “dono” è piuttosto una disgrazia, una fottuta disgrazia. Ma sei piccolo e non lo sai, e nessuno te lo dice, e tu continui a credere sia un gioco. Quella ragazza moldava non suona più bene. Succede.