martedì, dicembre 29, 2020

Lo sguardo della ragione


 

Il lamento di Arianna è quel pianto che gli inglesi traducono con il magnifico “lament”. Arianna non piange, non sono le sue lacrime che contano: è il suo dolore, tanto forte che non riesce a tenerne silenziosa la voce. E le scappa fuori un lamento. Senza singhiozzi, un lamento e basta. Lungo, sordo, cupo, grave. Ma prima di levare il suo lamento, Arianna era contenta, aveva davanti agli occhi un futuro che prefigurava felice. Se volete arrivare al suo lamento, dovete aver la pazienza di attraversare i suoi occhi sorridenti, allegri, "luccicosi". Occhi che ballano. Occhi fatui. Passateci dentro senza fretta e resistete alla tentazione impaziente di arrivare subito al lament. Aspettate, lasciate che tutto si compia. Sedetevi, concentratevi e dimenticate tutto, lasciate che le vostre orecchie diventino la metafora del mondo. Le leggi e le norme non ammettono bontà. Non hanno cuore od occhi o diversità da raccontare, né persone da proteggere, né verità da sostenere. la norma è un buco cieco, un limite inventato, una spada sguainata contro l'impossibile. Antigone non aveva bisogno di norme, perché lei come Arianna il lament lo sentiva e lo parlava ogni notte come una lingua antica. A volte temo che ogni volta che ci ritroviamo a vantare un diritto da qualche parte in verità ci sia stata una terribile una sconfitta. I primi anni che mi sono dedicato alla teologia mi domandavo spesso: “Ma a cosa serve. Non è meglio approfondire i Vangeli?”. Poi si incomincia a capire il nesso fra le cose e tutto cambia. Quando mia madre mi trascinava per le parrocchie ad ascoltare la musica polifonica, io andavo malvolentieri perché la musica polifonica mi sembrava un grande guazzabuglio di parole, di note. Un giorno ho sentito iniziare il Caligaverunt di Da Victoria e appena ha attaccato la seconda voce non ho più percepito la confusione, ho capito cos’era la musica polifonica. E quanto più entravano anche le altre voci, la terza e la quarta voce, tanto più diventava bello. Non era il pasticcio di prima. La ragione, in senso pieno, può essere descritta come un guardare in opposizione al vedere, secondo la distinzione usata da sant'Agostino. Il guardare è tutto quanto determinato da un'attrattiva, da un'emozione, da uno stupore che fa muovere verso l'oggetto incontrato col desiderio di conoscerlo, disposti a tutto pur di conoscerlo. Il vedere, al contrario, indica, nell'ambito di questa opposizione, un rapporto alla realtà pre-giudicato, che genera schematizzazioni, irrigidimenti, riduzioni arbitrarie. Solo chi guarda coglie veramente il reale, cioè vede compiutamente e comprende. Lo sguardo della ragione riconosce il vero, cioè la corrispondenza tra quello che è proposto e il proprio cuore, tra quello che si incontra e si segue e la natura originale della propria persona .
La ragione conduce l'uomo verso la libertà. La libertà è innanzitutto capacità di una percezione che nasca dal di dentro, determinata da qualcosa che suscita l'interesse dell'io: quel complesso di esigenze e di evidenze che costituiscono il volto originale dell'io, la struttura dell'umana natura. Tale percezione istituisce un paragone tra ciò in cui l'io s’imbatte e ciò che lo costituisce originariamente. E' questo paragone che dà all'uomo la possibilità di cercare la soddisfazione. La percezione che coinvolge l'io è l'inizio della liberazione, perché è l'inizio della ricerca di un modo di rapporto con la realtà che soddisfi, cioè corrisponda, risponda a ciò che pre-occupa l'io, a ciò che teologicamente si chiama "cuore"


sabato, dicembre 26, 2020

Gastone

 




Dilemma non facile legato alla parola -" definizione." Ci aggrappiamo a porci il problema di attuare ciò che desideriamo maggiormente, o che ci allontana da una definizione precisa, o poniamo dei limiti nel confrontandoci con gli altri, per donare la nostra vita ,  con una buona qualità? Il confronto non mi spaventa anche se può essere limitato, forse aggiungerebbe proprio quelle qualità che senza pensare mi mancano per arrivare ad una qualità decente.

martedì, dicembre 22, 2020

Grande Massimo

 


La variante di panico


Massimo Gramellini | 22 dicembre 2020


Nella gerarchia del terrore, la «variante inglese» ha già soppiantato il semplice Covid, degradandolo ad angoscia secondaria. Di lui si comincia a parlare, non dico con nostalgia, ma come di un vecchio balordo con il quale si stava venendo a patti. Super Covid invece ha l’energia e l’imprevedibilità degli esordienti: sarà disposto a lasciarsi domare dalla campagna d’inverno delle vaccinazioni di massa che il nostro governo si accinge a lanciare con le capacità logistiche e organizzative di cui ha già dato così ampia prova? L’origine inglese della variante non tranquillizza: si sa come siano orgogliosi e bizzarri, da quelle parti. Non tranquillizzano nemmeno i virologi, seminatori di messaggi contraddittori. Mentre facevo colazione sono riuscito a sentirne uno che negava la maggiore letalità del nuovo venuto e un altro che, in piena estasi catastrofista, ne illustrava le potenzialità devastanti.
Ho reagito come le Borse: precipitando nel panico. E il panico ti fa perdere il senso delle cose. Non esiste una sola prova che Super Covid sia refrattario ai vaccini, mentre si sa per certo che è contagioso il triplo e rischia di intasare le terapie intensive. Prima che dai vaccini, fermarlo dipende dunque da noi, e nel solito noioso modo: aumentando ulteriormente le precauzioni. Ma a questo punto della pandemia, la stanchezza è tale che il terrore diventa quasi un analgesico: è più semplice prendersela con la scienza che scomodare la coscienza, specie se si tratta della propria.

lunedì, dicembre 21, 2020

Il predicatore

 


Rattrista la quasi fine del cristianesimo è inutile nasconderlo.

Finiranno anche le tradizioni, i valori condivisi con la solidarietà..

Le nostalgie del passato che viveva semplicemente della nostra vita quotidiana. Anche i ragazzi di oggi non hanno la forza che ha sorretto e reso grande la nostra civiltà, la fede non esiste più. E se è davvero un dono... ci manca. Non possiamo non accorgerci che in tanti di noi hanno preso e percorso una strada per essere sempre più estranei soprattutto a sé stessi.

sabato, dicembre 19, 2020

La classe dell'infermiera

 


La classe dell’infermiera


di  

Massimo Gramellini | 19 dicembre 2020 Corsera

Daniela ha appena saputo da una circolare che la scuola media milanese di suo figlio «sospenderà le attività didattiche nei giorni 21 e 22 dicembre» per scivolare dolcemente al giorno 23, quando cominceranno le vacanze vere. Cioè ha saputo che suo figlio, già orfano nei mesi scorsi di un numero insopportabile di lezioni, non entrerà più in classe fino al 7 gennaio (se tutto andrà bene). La circolare tace pudicamente sulle ragioni della sospensione: permettere agli insegnanti di ricongiungersi ai familiari lontani. Daniela è a dir poco indignata. Sono infermiera in un pronto soccorso, mi scrive, ma giustamente a nessuno è venuto in mente di chiudere gli ospedali per consentire ai miei colleghi non lombardi di partire. Il diritto all’istruzione vale forse meno di quello alla salute? E conclude: ho sempre insegnato a mio figlio che i professori meritano rispetto, ma con quale coraggio continuerò a farlo, dopo una simile prova di menefreghismo? Diciamo che, come sempre, la politica ha fornito ottimi alibi. Sarebbero bastate indicazioni chiare, così da evitare la fuga anticipata di massa nel fine settimana, ma si è preferito cambiare colore di continuo alle zone come i camaleonti. L’unico colore che non cambia mai è il rosso-senza-vergogna di chi durante l’anno non ha mai pensato alla scuola e ai ragazzi nemmeno per un minuto. A riprova che, del futuro di questo Paese, a coloro che hanno la ventura e la sventura di dirigerlo importa meno di un tweet.

giovedì, dicembre 17, 2020

Earth Overshoot Day

 


L'ambiente?

Stiamo viaggiando con i conti in rosso, consumiamo più risorse di quelle che la natura fornisce in modo rinnovabile. Ci stiamo mangiando il capitale biologico accumulato in oltre tre miliardi di anni di evoluzione della vita: nemmeno un super intervento come quello del governo degli Stati Uniti per tappare i buchi delle banche americane basterebbe a riequilibrare il nostro rapporto con il pianeta. L'Earth Overshoot Day: l'ora della bancarotta ecologica è in agguato. Il giorno in cui il reddito annuale a nostra disposizione finisce e gli esseri umani viventi continuano a sopravvivere chiedendo un prestito al futuro, cioè togliendo ricchezza ai figli e ai nipoti. La data è stata calcolata dal Global Footprint Network, l'associazione che misura l'impronta ecologica, cioè il segno che ognuno di noi lascia sul pianeta prelevando ciò di cui ha bisogno per vivere ed eliminando ciò che non gli serve più, i rifiuti. Nel 2020 l'Earth Overshoot Day è caduto il 22 agosto: consumiamo quasi il 40 per cento in più di quello che la natura può offrirci senza impoverirsi. Secondo le proiezioni delle Nazioni Unite, l'anno in cui - se non si prenderanno provvedimenti - il rosso scatterà il primo luglio sarà il 2050. Alla metà del secolo avremo bisogno di un secondo pianeta a disposizione. E, visto che è difficile ipotizzare per quell'epoca un trasferimento planetario, bisognerà arginare il sovra consumo agendo su un doppio fronte: tecnologie e stili di vita. Lo sforzo innovativo dell'industria di punta ha prodotto un primo salto tecnologico rilevante: nel campo degli elettrodomestici, dell'illuminazione, del riscaldamento delle case, della fabbricazione di alcune merci i consumi si sono notevolmente ridotti. Ma anche gli stili di vita giocano un ruolo rilevante. Per convincersene basta confrontare il debito ecologico di paesi in cui i livelli di benessere sono simili. Se il modello degli Stati Uniti venisse esteso a tutto il pianeta ci vorrebbero 5,4 Terre. Con lo stile Regno Unito si scende a 3,1 Terre. Con la Germania a 2,5. Con l'Italia a 2,2. "Abbiamo un debito ecologico pari a meno della metà di quello degli States anche per il nostro attaccamento alle radici della produzione tradizionale e per la leadership nel campo dell'agricoltura biologica, quella a minor impatto ambientale", spiega Roberto Brambilla, della rete Lilliput che, assieme al Wwf, cura la diffusione dei calcoli dell'impronta ecologica. "Ma anche per noi la strada verso l'obiettivo della sostenibilità è lunga: servono meno opere dannose. Per millenni l'impatto dell'umanità, a livello globale, è stato trascurabile: un numero irrilevante rispetto all'azione prodotta dagli eventi naturali che hanno modellato il pianeta. Con la crescita della popolazione (il Novecento è cominciato con 1,6 miliardi di esseri umani e si è concluso con 6 miliardi di esseri umani) e con la crescita dei consumi (quelli energetici sono aumentati di 16 volte durante il secolo scorso) il quadro è cambiato in tempi che, dal punto di vista della storia geologica, rappresentano una frazione di secondo. Nel 1961 metà della Terra era sufficiente per soddisfare le nostre necessità. Il primo anno in cui l'umanità ha utilizzato più risorse di quelle offerte dalla biocapacità del pianeta è stato il 1986, ma quella volta il cartellino rosso si alzò il 31 dicembre: il danno era ancora moderato. Nel 1995 la fase del sovra consumo aveva già mangiato più di un mese di calendario: a partire dal 21 novembre la quantità di legname, fibre, animali, verdure divorati andava oltre la capacità degli ecosistemi di rigenerarsi; il prelievo cominciava a divorare il capitale a disposizione, in un circuito vizioso che riduce gli utili a disposizione e costringe ad anticipare sempre più il momento del debito.




giovedì, dicembre 10, 2020

La creatura donna

 


Un grande avvocato si presentò in tribunale per difendere lo stupratore. Con un filo e un ago. Con la sinistra reggeva l'ago muovendo la mano e con la destra dimostrava che il filo non poteva penetrare nel forellino dell'ago in movimento.

Questa trovata fu sufficiente per far assolvere lo stupratore.

Lei è una ragazzina di appena quindici anni e come tutte le ragazzine di quell'età andava a scuola e forse sognava l'amore.

Otto cittadini italiani l'hanno stuprata ripetutamente con tutta la violenza che un simile atto comporta.

Ora sono liberi, girano tranquillamente per il paese o la città, non ricordo quale, mentre la vittima non gode di nessuna protezione.

Marinella è stata stuprata a quindici anni e l'intero paese si è schierato in difesa degli stupratori, lasciandola sola.

Non ha più messo piede a scuola, vive probabilmente nella vergogna e nel terrore che questo possa accaderle di nuovo.

I suoi stupratori se la sono sfangata con un servizio civile.

domenica, dicembre 06, 2020

Modigliani per sempre

 


In una pittura non si può né aggiungere, né togliere. Un quadro è un mondo completo, perfetto, armonico. Ogni soggetto ed oggetto rappresentato è collegato da infiniti rimandi e precisi rinvii, necessità di luce, contrapposizione di colori, sfumature di chiaro-scuro, armonie della composizione, linee verticali ed orizzontali e diagonali che si intrecciano. Spesso gli oggetti e i soggetti svolgono la funzione di allegorie. Non ha alcun senso nella descrizione pittorica togliere o mettere. Dall'Eneide possiamo togliere Eurialo e Niso senza che il poema ne risenta, ma dall'Odissea non possiamo togliere né Circe né Polifemo né Calipso. In un quadro ogni dettaglio è importante, il piede storto di Caravaggio che distorce l'intera figura, il cesto di frutta sul limitar del tavolo nella cena di Emmaus, cesto quasi in bilico sul bordo che si regge sul nero cupo della mancanza di spazio non sono inutili dettagli, sono parte importante di una narrazione. Un quadro non ha il tempo narrativo che permette di sgomitolare racconti inessenziali. deve rappresentare nella narrazione o nella descrizione (c'è differenza tra le due cose) un mondo fermo dove ogni cosa ha un posto, un significato, una necessità precisa. Se voglio la luce posso aver bisogno di una parete descritta da una carta geografica come nella donna in blu di Vermeer e chi immagina che quella carta scura sia inessenziale o possa essere inessenziale ha capito poco di quel che gli sta davanti. Potremmo parlare per tre ore delle stringhe delle scarpe di van Gogh o della curva di un suo cipresso o delle mele di Cézanne o della pipa sulla sedia di Van Gogh e nessuno di noi perderebbe il suo tempo. Perché pipe, ceste di frutta, sedie, carte geografiche, spinette, lettere, scarpe, piedi storti, sederi inclinati, vesti e merletti, finestre e porte, specchi e drappi sono il mondo rappresentato e accompagnano i nostri occhi dentro una visione perfetta, difficile, conclusa, dove si avverte sempre la difficoltà di entrare e di essere ospitati anche solo per un momento. A me piace Modigliani. Riesce a cogliere la bellezza rendendola immortale. Mi insospettisce Vermeer. In pratica lui aveva escogitato un modo per fare una qualcosa molto somigliante a un negativo di una fotografia della modella e dipingeva basandosi sul supporto tecnologico.  Vermeer ha adottato per i suoi dipinti l’uso della camera oscura, strumento che gli permetteva di ritrarre con precisione anche soggetti piccolissimi, in secondo piano e lontani dal pittore. Vermeer sapeva bene che il pregio maggiore di una camera oscura consistesse nel fatto che tutti gli oggetti fossero messi “a fuoco” a prescindere dalla loro distanza dal foro stenopeico. Il nostro pittore, quindi, non aveva la necessità di disegni preparatori in quanto la camera oscura gli permetteva di disegnare come su una carta copiativa le immagini, dando loro vita e colore. Sembra quasi che il suo studio fosse quello di un fotografo, ove luce, soggetti e camera fossero a disposizione del fotografo/pittore Vermeer e all’interno del quale i personaggi si muovessero come su un set. Modigliani vivendo a Parigi, aveva subito molto l’influenza dei movimenti francesi (sopratutto quella di Brancusi e Picasso) e il loro interesse per il primitivismo. In Nudo sdraiato a braccia aperte del 1917 è evidente la straordinaria sintesi plastica delle forme e l’entusiasmo per la purezza delle linee astratte che gli deriva dall’arte egizia, negra e da Cezanne, mentre il colore è di chiara influenza Fauve. Nei ritratti di Modigliani ogni soggetto viene sottoposto ad un processo di spersonalizzazione e stilizzazione: il modello "vero" perde in dettaglio, si spoglia delle sue peculiarità. Si trasforma, allora, in un'entità astratta, lontana dal tempo. Una sorta di icona della bellezza assoluta. Definire la bellezza in tutte le sue innumerevoli sfaccettature è quasi impossibile. In linea di principio si può affermare che la bellezza è armonia tra le parti, è proporzione e ordine, è un ideale di rappresentazione attraverso il quale l’artista mira a tradurre in una forma visiva un concetto astratto: la bellezza. Forse nessuna civiltà ha saputo esprimere meglio la bellezza come quella tramandataci dai Greci. Il fatto stesso che la Venere di Milo, risalente al II secolo a.c., sia universalmente riconosciuta, a distanza di oltre due millenni, quale ideale perfetto di bellezza femminile, dimostra quanta perfezione e quanta grazia sapevano infondere nelle loro opere quegli antichi maestri.