lunedì, gennaio 29, 2018

La vecchia calzetta



Io non mi lamento. La mia filosofia di vita è: "Ognuno ha quel che si merita".
Le risposte che dai nel tuo blog sono sempre carezze spontanee e vere. A me capita di pungere, anche inutilmente.

sabato, gennaio 27, 2018

Il profumo delle mele in cantina







L'assenza non è nulla.
Un tavolo poggiato contro l'oceano del silenzio,
dell'inchiostro, della carta.
Tutto è molto forte, la notte svanisce o
la notte viene, non ho paura.
La testa un po' inclinata, guardo solo il foglio di carta.
Le parole volano via e tu sei là. L'assenza non è nulla,
un po' di tempo purissimo per inventare domani.
L'assenza è un'assoluta neutralità, indifferenza,
quiete apparente, stasi, uniformità opalescente
e grigiore appena tiepido.
Io non c'entro nulla con le more nei boschi d'estate,
le conversazioni attorno al tavolo di cucina sgranando piselli,
il profumo delle mele in cantina,
la voce di chi si ama che dice più di
quanto dicano le parole,
il rosso cupo di un bicchiere di Porto da centellinare,
il lieve fruscio della dinamo contro la ruota
durante una pedalata notturna.
Istanti preziosi, che vanno colti nella loro
immediatezza e assaporati con tranquillità.
La Première gorgée de bière
Philippe Delerm

martedì, gennaio 23, 2018

La morte dell'Europa






In Europa si è consumata una barbarie di proporzioni catastrofiche.
I singoli conservano la memoria della loro esistenza, un popolo si affida alla storia e il tentativo di rintracciare una memoria si scontra con il macigno nel nazismo. L'immagine di questo post è un albero sradicato e rende bene l'idea di un popolo senza memoria, perché è una memoria vergognosa.

lunedì, gennaio 22, 2018

Il rincorrersi delle verità







Rashomon è un film del 1950 diretto da Akira Kurosawa. In Italia è stato distribuito anche come Rasciomon. Wikipedia

Prima data di uscita: 25 agosto 1950 (Giappone)
Regista: Akira Kurosawa
Scritto da: Ryūnosuke Akutagawa
Cinematografia: Kazuo Miyagawa
Sceneggiatura: Akira Kurosawa, Shinobu Hashimoto

sabato, gennaio 20, 2018

Un esame di coscienza sui nostri pregiudizi







Ne parliamo, ci arrabbiamo, invochiamo un cambio di mentalità quando si parla di donne. Vogliamo essere giudicate per quello che facciamo e non per il nostro aspetto, vogliamo avere le stesse opportunità di un uomo sul lavoro, vogliamo essere considerate come persone e non fidanzate-mogli-mamme. Giustissimo, però... Però capita poi che quasi tutte ci caschiamo. Quasi tutte — magari non sempre, ma succede, eccome se succede — indugiamo su come è vestita una collega («ma non vede come le sta male quella gonna, poteva mettersela un po’ più corta già che c’era...») o facciamo lo sguardo di chi la sa lunga quando incrociamo per strada una donna che si accompagna con un uomo molto più grande o molto meno bello («chissà perché sta con lui eh...»). Quasi tutte siamo state sfiorate almeno una volta dal dubbio che quando una donna ottiene molto professionalmente, dietro ci sia una qualche scorciatoia spianata da un uomo («ma come? Non sai con chi era fidanzata?») e se sciaguratamente quella donna è anche mamma, ecco la nuvoletta: «Ma suo figlio nel frattempo come cresce? Con chi sta?».
Quello che spesso ci affanniamo a dire è che il maschilismo è vivo e in ottima salute. Ma non ragioniamo forse abbastanza sul fatto che tantissime donne sono le prime ad essere maschiliste e sessiste. Ha ragione Errico Buonanno quando lo scrive su pagina99. Quando scrive che sono soprattutto le donne a meravigliarsi del fatto che stia più lui con i figli rispetto alla moglie, che sono le donne a dirgli «bravo» quando porta i bambini al parco, frase che ovviamente mai direbbero a una donna che fa lo stesso. Ed è vero. Siamo noi donne che ci spertichiamo in complimenti se un uomo — specie, va detto, se non si tratta del nostro — fa il bucato, apparecchia la tavola, magari ogni tanto addirittura lava il pavimento. «Che fortunata sei, sa anche cucinare». Che lo faccia una donna è normale, se invece è lui a buttare la pasta, beh allora è una fortuna. E se quell’uomo magari rifà anche il letto, a quel punto siamo pronte a trillare per l’entusiasmo: «Noooo, tuo marito rifà anche il letto?». Applausi. Ma perché? Perché siamo maschiliste.
Lo siamo quando commentiamo le foto di Agnese Renzi, quando la giudichiamo per l’abito che ha scelto, le scarpe, la pettinatura. E lo siamo — in maniera violentissima, provate a dare un’occhiata ai commenti che ci sono in rete — quando vediamo coppie come quella formata da Hugh Jackman e sua moglie Deborra-Lee Furness: «Ma come fa a stare con quella uno come lui?»; «Sembra sua zia»; «Potrebbe andare con una top model ventenne e invece sta con quella cicciona». E sono soprattutto le donne a ritenere inconcepibili simili accoppiate. Magari sono le stesse che poi si indignano se vengono giudicate per come appaiono e non per come sono. Inutile dire che uomini meno affascinanti della compagna con cui stanno suscitano decisamente meno reazioni. Anzi, in quel caso ti viene da pensare che lei ci sta «perché é ricco» o «perché é famoso». Logico, non fa una piega.


Donne maschiliste: un esame di coscienza sui nostri pregiudizi
di Chiara Maffioletti del Corsera.




giovedì, gennaio 18, 2018

L'acqua impura








Analfabetismo, vaccinazioni, acqua... cibo direi... i bambini muoiono di fame e stenti. Assurdo.
Non per chi lucra sul nome di Dio.
A Roma ordini religiosi, suore e frati viaggiano nel lusso più sfrenato in palazzi da nababbi.
A Milano i francescani affidano 50 milioni di euro in broker!!!..
Qualcosa dovrebbe cambiare. E questo Papa non è in grado di invertire la rotta.

martedì, gennaio 16, 2018

L'ottundimento contemporaneo




Parlo del Liceo Classico Virgilio di Roma.

Quello che avviene da due anni prima con una preside che poi ha lasciato e poi con un'altra è questo:
Spaccio nel cortile della scuola la preside chiama i carabinieri, i ragazzi spalleggiati dai genitori occupano le sue stanze, cartelloni, vattene via, la preside lascia.
Silenzio istituzionale, gli unici che si schierano apertamente con la Dirigente e contro la pratica delle occupazioni, sono quelli del gruppo di Firenze - quei biechi reazionari.
Vediamo cosa c'è scritto nel Rav della scuola a Luglio:
“A volte, le famiglie non supportano il ruolo valutativo e di controllo che è proprio della Scuola, giungendo in qualche caso a delegittimarne la funzione istituzionale”. Oppure: “Le regole sono spesso disattese per una diffusa volontà di contestazione dell'Istituzione scolastica e pubblica in generale”. O, ancora: “Emerge un bisogno di maggiore diffusione e comprensione delle regole democratiche, di collaborazione scuola-famiglia sul tema del rispetto dell'altro”.
Più chiaro di così? Fanno tutti quel che vogliono perché, al momento della sentenza, arriva il “Non expedit”. Si legge ancora nel Rapporto, “il mancato rispetto delle regole è anche dovuto ad un pregresso di non sufficiente rigore e alla mancata attuazione delle sanzioni previste dal Regolamento d'Istituto. L'irrogazione di sospensioni, nel complesso inferiore ai dati dichiarati da altre scuole, conferma le circostanze qui esposte”. A firmare la ‘grazia’? Direttamente le famiglie, che difendono anche contro l’evidenza i propri figli. I ragazzi fumano erba a scuola? Loro irridono: “Gli spinelli servono per calmarli”; “Meglio in classe che per strada”; 'Vuol dire che qui c’è roba buona”. Scoppiano due petardi? Parlano di “cose deprecabili, stupide ma riferibili ad una goliardia che c'è sempre stata nella scuola e che non riguarda il clima dell'istituto”. Gli studenti scambiano la scuola per un albergo a ore? I genitori sminuiscono il comportamento dei figli e se la prendono con il ‘guardone’ che ha filmato il tutto, annunciando denunce. Insomma, minacce e intimidazioni all’insegna del più classico ‘lei non sa chi sono io’.





lunedì, gennaio 15, 2018

Contraddizioni sulla pace








L'accordo pressoché generale che oggi si registra a riguardo
della Pace, come bene sommo e universale da realizzare
ad ogni costo, non è senza sospetto, dato che con una stessa
parola e uno stesso vago ideale si intendono comportamenti,
scelte ed esiti del tutto diversi.
Può sembrare un paradosso, ma è solo una dolorosa evidenza:
si cerca e si desidera la pace perché si avverte l'esistenza
o almeno la minaccia di un conflitto. Chi vuole costruire
la pace sa di dover condurre, lui per primo, una certa guerra.
Anche il comune modo di esprimersi, per esempio, bisogna lottare
per la pace, lo rivela non senza una certa involontaria ironia.
Coloro che vengono convocati a impegnarsi per la pace,
anche quando si tratta soltanto di partecipare a una marcia
o di gridare qualche slogan, dovrebbero essere avvertiti
che si tratta di un invito a combattere, guerra alla
guerra, se si vuole. Ma guerra tuttavia.
Tutti sanno che perfino Gesù, l'Agnello della Pace, non
temeva d'assumere il volto di chi raccomanda
la guerra, anzi la portava Lui stesso, volutamente
fin dentro quel tessuto familiare che doveva essere impregnato
solo d'amore e di concordia. "Non vogliate credere che io
sia venuto a portare la pace sulla terra. Sono venuto infatti
a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre,
la nuora dalla suocera, e i nemici dell'uomo saranno
quelli della sua casa”.
Appunti sviluppati da Antonio Sicari.


sabato, gennaio 13, 2018

Teologicamente si chiama cuore







I primi anni che mi sono dedicato alla teologia mi domandavo spesso: “Ma a cosa serve. Non è meglio approfondire i Vangeli?”.
Poi si incomincia a capire il nesso fra le cose e tutto cambia.
Quando mia madre mi trascinava per le parrocchie ad ascoltare la musica polifonica, io andavo malvolentieri perché la musica polifonica mi sembrava un grande guazzabuglio di parole, di note.
Un giorno ho sentito iniziare il Caligaverunt di Da Victoria e appena ha attaccato la seconda voce non ho più percepito la confusione, ho capito cos’era la musica polifonica. E quanto più entravano anche le altre voci, la terza e la quarta voce, tanto più diventava bello. Non era il pasticcio di prima.
La ragione, in senso pieno, può essere descritta come un guardare in opposizione al vedere, secondo la distinzione usata da sant'Agostino. Il guardare è tutto quanto determinato da un'attrattiva, da un'emozione, da uno stupore che fa muovere verso l'oggetto incontrato col desiderio di conoscerlo, disposti a tutto pur di conoscerlo.
Il vedere, al contrario, indica, nell'ambito di questa opposizione, un rapporto alla realtà pre-giudicato, che genera schematizzazioni, irrigidimenti, riduzioni arbitrarie.
Solo chi guarda coglie veramente il reale, cioè vede compiutamente e comprende.
Lo sguardo della ragione riconosce il vero, cioè la corrispondenza tra quello che è proposto e il proprio cuore, tra quello che si incontra e si segue e la natura originale della propria persona.
La ragione conduce l'uomo verso la libertà. La libertà è innanzitutto capacità di una percezione che nasca dal di dentro, determinata da qualcosa che suscita l'interesse dell'io: quel complesso di esigenze e di evidenze che costituiscono il volto originale dell'io, la struttura dell'umana natura. Tale percezione istituisce un paragone tra ciò in cui l'io s’imbatte e ciò che lo costituisce originariamente. E' questo paragone che dà all'uomo la possibilità di cercare la soddisfazione. La percezione che coinvolge l'io è l'inizio della liberazione, perché è l'inizio della ricerca di un modo di rapporto con la realtà che soddisfi, cioè corrisponda, risponda a ciò che pre-occupa l'io, a ciò che teologicamente si chiama cuore.
Post sviluppato da appunti presi nei corsi di CL sul pensiero di Luigi Giussani.







giovedì, gennaio 11, 2018

La società senza memoria







Nei suoi ultimi lavori, Bauman ha tentato di spiegare la postmodernità usando le metafore di modernità liquida e solida. Nei suoi libri sostiene che l'incertezza che attanaglia la società moderna deriva dalla trasformazione dei suoi protagonisti da produttori a consumatori. In particolare, egli lega tra loro concetti quali il consumismo e la creazione di rifiuti umani, la globalizzazione e l'industria della paura, lo smantellamento delle sicurezze e una vita liquida sempre più frenetica e costretta ad adeguarsi alle attitudini del gruppo per non sentirsi esclusa, e così via.
L'esclusione sociale elaborata da Bauman non si basa più sull'estraneità al sistema produttivo o sul non poter comprare l'essenziale, ma sul non poter comprare per sentirsi parte della modernità. Secondo Bauman il povero, nella vita liquida, cerca di standardizzarsi agli schemi comuni, ma si sente frustrato se non riesce a sentirsi come gli altri, cioè non sentirsi accettato nel ruolo di consumatore. La critica alla mercificazione delle esistenze e all'omologazione planetaria si fa spietata soprattutto in Vite di scarto, Dentro la globalizzazione e Homo consumens.


martedì, gennaio 09, 2018

Pianeta terra per colazione pranzo e cena





I bambini non mangiano il pianeta Terra, le industrie, sì :)
La mattina guardo il TG di Sky e mi ha colpito l'immondizia di Roma. Pensa che a Brescia, dove abita Lisa, con l'immondizia hanno costruito un termovalorizzatore e l'acqua calda esce tranquillamente dai rubinetti e riscalda attraverso i termosifoni le case senza bisogno di caldaie.

lunedì, gennaio 08, 2018

L'etica come prima filosofia






Dopo la guerra, Lévinas divenne un pensatore di punta in Francia, emergendo dal circolo degli intellettuali che circondavano Jean Wahl. La sua opera si basa sull'etica dell'Altro o, come direbbe Levinas, egli ricerca "l'etica come prima filosofia". Per Lévinas, l'Altro non è conoscibile e non può esser ridotto ad un oggetto per sé, come è detto dalla metafisica tradizionale (chiamata ontologia da Levinas). Lévinas preferisce pensare la filosofia come la 'conoscenza dell'amore' piuttosto che l'amore della conoscenza. Nel suo sistema, l'etica diventa un'entità indipendente dalla soggettività al punto che la responsabilità è intrinseca al soggetto; per questo un'etica di responsabilità precede qualunque 'oggettiva ricerca della verità'. Lévinas fa derivare la preminenza della sua etica dall'esperienza dell'incontro con l'Altro. Per Lévinas l'incontro faccia a faccia con un altro essere umano è un fenomeno privilegiato nel quale la prossimità dell'altra persona e la distanza sono entrambi fortemente sentiti. Alla rivelazione del volto il primo desiderio naturale di una persona è di uccidere l'Altro. Allo stesso tempo, la rivelazione del volto costringe l'immediato riconoscimento dell'incapacità di una persona di farlo. Ogni uomo deve istantaneamente riconoscere l'inviolabilità e l'autonomia dell'Altro.
"Il povero, lo straniero si presenta come eguale. La sua uguaglianza in questa povertà essenziale consiste nel riferirsi al terzo, così presente all'incontro e che, nella sua miseria, è già servito da Altri. Egli si unisce a me. Ogni relazione sociale, al pari di una derivata, risale alla presentazione dell'Altro al Medesimo, senza nessuna mediazione di immagini o di segni, ma grazie alla sola espressione del volto".
"Il nostro rapporto col mondo, prima ancora di essere un rapporto con le cose, è un rapporto con l'Altro. E' un rapporto prioritario che la tradizione metafisica occidentale ha occultato, cercando di assorbire e identificare l'altro a sé, spogliandolo della sua alterità.  "

giovedì, gennaio 04, 2018

Molti poveri e ricchi nascosti







Non metto in dubbio la necessità, dato come chi ci ha governato e chi non si è opposto come avrebbe dovuto ci hanno ridotto, a fare sacrifici per pagare un conto dovuto ai "consumi" altrui (leggi sprechi, furti, corruzione, clientele, arricchimenti illeciti, evasione fiscale milionaria ecc. ecc.).
Se il paese in cui vivo è sull'orlo della bancarotta non è solo amor di patria o senso del dovere ma mio precipuo interesse come interesse di tutti fare tutto il possibile perché non si arrivi al fallimento.
 Però, premesso che gli autori di questo fallimento dovrebbero avere la decenza di sparire e di non impartire lezioni, come invece fanno in lungo e in largo, e questo irrita leggermente chi deve pagare il conto delle loro gozzoviglie, non vedo perché chi non si trova nelle condizioni di pura sopravvivenza non dovrebbe inquietarsi pensando ai pensionati da mille euro al mese lordi ai quali viene tolta buona parte dell’indicizzazione che anche se data per intero non copre l'aumento del costo della vita.
Con l'astuta indicizzazione in vigore le pensioni negli ultimi dieci anni hanno perso il 30% del loro potere d'acquisto.
Ora capisco tutto, però che il conto venga fatto pagare per il 90% a chi ha le pezze in fronte non mi sembra né ragionevole né accettabile e meno mai che equo. Ed io che non sono tra quelli che hanno la pensione di 100euro lordi al mese mi arrabbio tanto che non lo potete minimamente immaginare.
E veniamo al discorso dell'equità: ti pare un dettaglio e non come io credo la base di una convivenza civile e democratica?
 Non pensate che la totale mancanza di equità alla quale siamo di fronte e non da ora sia uno dei principali motivi di degenerazione della società in cui si vive?
E che si dovrebbe fare secondo voi?
Pensare che l'ennesima manovra per riparare il malfatto non ha alternative quanto al modo in cui viene realizzata?
Continuare ad affrontare le emergenze che non smetteranno di "accadere" con spirito di collaborazione, accettando che questa profonda iniquità e questa profonda disparità di diritti che si traducono alla fine in mancanza di libertà siano le linee guida della società in cui viviamo?
 

martedì, gennaio 02, 2018

Galileo Galilei è un rivoluzionario






Il merito maggiore che va riconosciuto a Galilei nella storia del pensiero scientifico è quello di aver attribuito alla matematica il ruolo di linguaggio specifico della filosofia della natura.
La fisica sperimentale è tale non semplicemente perché procede per mezzo di esperimenti, ma perché fornisce quegli strumenti concettuali che sono a fondamento delle dimostrazioni certe; e può farlo nella misura in cui secondo Galilei è la stessa natura ad essere strutturata secondo un ordine matematico-geometrico.
L'esigenza primaria del metodo galileiano è quella di non porre distinzioni tra l'approccio scientifico alle questioni naturali e la riflessione filosofica sulla natura: le due vie con cui si conosce la realtà non possono mai contraddirsi, sebbene procedano secondo modalità diverse. La Bibbia, infatti, essendo dettatura dello Spirito Santo necessita di essere continuamente interpretata e chiarita, mentre la natura, essendo osservatissima esecutrice degli ordini di Dio non esige ulteriori spiegazioni, poiché il suo corso è inesorabile e immutabile.
Galilei non era uno stinco di santo. Non legge la Bibbia, non va a Messa, se non di rado. Si considerava un cattolico, anche se si sarebbe messo nella classe dei peccatori, perché non aveva una vita morale irreprensibile.
Non parla mai di Cristo e il suo è più un Dio della natura.
Assodiamo che il compito della fisica era etimologicamente, per lui, la conoscenza della natura.
Ma certo non in modo aristotelico, a Galileo poco interessava la conoscenza dell’essenza dei fenomeni, quanto la determinazione delle leggi che regolavano il corso dei fenomeni stessi.
In questo Galileo è stato rivoluzionario.
Nei discorsi sui massimi sistemi ad un certo punto, lui fa pronunciare a Salviati queste parole che cito testualmente: " Non mi pare tempo opportuno di investigare al presente della causa dell'accelerazione del moto naturale, intorno alle quali da vari filosofi varie sentenze sono state approfondite".
Il rapporto causale diviene fisico con Galilei la concezione diviene scientifica e non più metafisica.