martedì, aprile 06, 2021

Ciao, Augusto

 


Sei simpaticissimo e voglio raccontarti la mia storia.
Ho un nome, non posso dirtelo. Chiamami pure CrautoViola.


Le mie colleghe sono tutte donne.
Le mie colleghe sono quasi tutte madri. Di famiglia. Non in genere.
Ciò significa che sono condizionate sempre e comunque dagli umori del figlioletto di turno o dalla telefonata della maestra dell’asilo/elementari/medie che le richiama puntualmente all’ordine quando qualche misterioso virus colpisce i loro adorati pargoli.
Le mie colleghe sono quasi tutte divorziate e/o separate. Chi più chi meno in casa.
Quindi significa che devono fare tutto da sole. Tutto. Il padre (in senso generico) pensa ovviamente a spupazzarsi i figli comodamente nel fine settimana, piccola oasi di pace al riparo dallo spauracchio delle strutture scolastiche inadeguate, i malesseri occasionali e non, i compagnucci invadenti che si auto-invitano per pantagrueliche merende/pranzi/cene, i corsi della palestra, il catechismo, i compiti a casa, il corso di clarinetto e la ginnastica correttiva.
Le mie colleghe, messe tutte insieme, hanno un'età media di 45 anni (a gamba).
Vittime del post-femminismo e dello stile di vita che ti propone come modello da idolatrare una donna vincente, sempre giovane, in carriera e attiva 24 ora su 24, che tradotto vuol dire sgobbare di più, ignorare l’orologio biologico che urla disperato quando è il momento di procreare, barcamenarsi tra un lavoro che poi puntualmente verrà lasciato per un motivo o per un altro, una casa indomabile e un marito altrettanto bisognoso di cure che non esiterà a mollarti per un’altra a causa, dice lui, della tua assenza in famiglia, si ritrovano tutte, o quasi, sole, con figli a carico esageratamente piccoli in proporzione alla loro età.
Il che potrebbe anche andar bene, se prima hai avuto una vita appagante e soddisfacente.
Ma nel loro caso so per certo, visti i continui lamenti, che non è così.
Ergo, quando le nostre madri, ad esempio la mia, erano finalmente ad un passo dalla libertà con i figli quasi adulti e quasi sistemati, loro si ritrovano al principio.
Le mie colleghe, sempre in globale, hanno un peso medio di 70 chili a persona.
Questo è un altro grande problema perché aggiunge frustrazione alla disperazione in quanto sono sempre, perennemente a dieta. Chi sul serio e chi un po’ meno. La progressiva perdita di ossigeno nel cervello causata dalla mancanza di zuccheri e nutrimento sano restituisce alla realtà delle persone nervose, con i nervi a fior di pelle e con la vista annebbiata. Il che è un problema molto grave se consideriamo il fatto che una cattiva visione delle cose non porta a nulla di buono.
Le mie colleghe si ritrovano con la loro età, con il loro peso, con i loro figli e con le loro aspettative di successo ridotte al minino a lavorare dentro un call center.
I miei capi amano definirla Phone Collection. Fa più figo evidentemente. Ma questo nuova nomenclatura creata ad hoc apposta per gettare fumo sugli occhi, non cambia la realtà ne tanto meno conferisce maggiore prestigio alle loro mansioni.
Stanno comunque tutto il giorno al telefono.
Sempre a litigare con la gente. A combattere con la gente. A farsi insultare dalla gente. Le mie colleghe prendono uno stipendio medio di € 900 ogni mese. Questo sulla carta perché in realtà è ogni mese e mezzo. Allora se uno ha voglia di tirare due somme è facile capire che, se una è separata, ha due figli, piccoli o medio piccoli, che si ammalano ogni due per tre, che devono andare a scuola, fare il catechismo, fare le feste di compleanno, fare il corso di ginnastica correttiva, fare sport, fare il corso di clarinetto o quello che sia e perché no, anche terapia di gruppo infantile, alla fine del mese ci si arriva con l’acqua alla gola. Se poi il mese è allungato, come spesso capita, allora son dolori. Le mie colleghe sono incattivite. Questi luoghi di tortura moderna mascherati da ambienti lavorativi mirano a favorire la rivalità fra colleghi. I capi puntualmente ogni mese (e questa a differenza dello stipendio è sempre puntuale) amano affiggere una graduatoria, una classifica delle pratiche recuperate. Ovviamente chi ne ha recuperate di più e, secondo questa logica perversa, ha chiaramente vinto, non riceve gratifica alcuna. Niente. Nada de nada. Neanche la gioia di vedersi elogiare in pubblico. In compenso chi per un motivo o per un altro ha la sciagura di finire come fanalino di coda, viene additato come perdente, una schifo di persona perfettamente inutile sia dal punto di vista sociale che professionale. Una persona indegna. I capi dopo aver perpetuato sulla malcapitata una lavata di capo lunga quanto una quaresima usano togliere il saluto nonché la parola all’ultima della lista in modo che la sua autostima già precaria trovi il pretesto per annientarsi definitivamente.
Le mie colleghe si odiano fra loro. Si fanno del mobbing. Si sabotano a vicenda. Si intralciano. In maniere a volte talmente grette che non voglio riferire qui ora in questa sede, ma che presto farò, da tirare spesso fuori il loro lato peggiore, che, credetemi, è veramente peggiore. Le mie colleghe sono abbagliate da una prospettiva di carriera che in realtà non esiste. Nel nostro ufficio non c’è progresso. Non c’è avanzamento. Non ci sono promozioni. Non ci sono aumenti di stipendio. Non c’è nemmeno la possibilità di essere assunte dietro regolare contratto. Non c’è nemmeno la possibilità di un giorno di malattia pagato se, che so, hai la febbre a 40 gradi o un principio di infarto. Non c’è niente di niente. Ma loro non lo sanno. Oppure lo sanno ma fanno finta di non saperlo. E si studiano. Continuamente. E covano rancori. E si odiano. E si tormentano del successo di una e si gongolano sul fallimento di un’altra. Ma non riescono a vedere la cosa per quella che realmente è. Ossia un lavoro che è talmente annichilente, talmente abbrutente che se riesci a conservare un po’ di umanità alla fine della giornata e sorridere ai tuoi figli è grasso che cola.
Queste sono le mie colleghe. Questo è ciò che potrei diventare. Se continuo a rimanere li. Con loro. Nel favoloso mondo del Recupero dei Crediti. Nell’attesa di trovare una valida alternativa che non contempli un lavoro di banchista in una pizzeria al taglio, cameriera al pub o ai tavoli e commessa disperata, cerco di cavarmela al meglio. Come posso. Le ignoro.


24 commenti:

  1. non compare nell'elenco lettura

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  2. Ho personalizzato il tema del blog. Ho ridotto il carattere del testo del gadget, il blogroll si è aggiornato e il post appare anche nell'elenco di lettura.

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  3. Uno direbbe meraviglioso che CrautoViola conservi un attimo di spirito per sorridere di tutta la disperazione che ha addosso, ma che forse l'aiuterà anche a scrollarsela di dosso. Ma come lei c'è un mondo, tra le commesse o i riders, oppure sempre più giù fino ad arrivare a chi raccoglie pomodori . Anzi, come lei c'è un mondo che neanche lo abbozza più un sorriso di autoscherno. Perché gli/le è passata ogni voglia. E questa società del tutto/e/subito è quella che propina di questi futuri marci e senza uscita.

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    1. Non tutti i destinati a lavori stressanti riescono a sorridere.
      Un caro amico, chirurgo vascolare, per incomprensioni con il *capo* è stato destinato al Pronto soccorso, turni di notte.
      Quando gli chiesi di questa sua mansione non esaltante, mi rispose: "Augù, qualcuno lo deve fare".

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  4. Sono situazioni davvero tristi e drammatiche quelle descritte nel tuo post e se pensiamo che ve ne sono di ancora più tragiche dovremmo solo ringraziare il cielo di ciò che abbiamo avuto e abbiamo nella nostra vita.
    sinforosa

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    1. Forse Viola ha esagerato, ma non tanto.
      Ciao Sinforosa.

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    1. Molte volte Viola parlava dei pianti che faceva tornando a casa per
      le intimidazioni, uno degli espedienti più efficaci per terrorizzare il creditore.

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  6. Non lamentiamoci davanti ai figli, evitiamo di controllare che tutto vada bene:...è solo un illusione... E soprattutto non diventiamo logorroiche.
    Il nostro vangelo ci dice:
    "Non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri, per non essere giudicati..." e fa appello alla pazienza dei profeti, alla pazienza di Giobbe e potremmo aggiungere a quella di Gesù... Invita anche a non ricorrere ai giuramenti quando si è a corto di argomenti persuasivi per ottenere maggiore credibilità. Il vangelo ci presenta il parere di Gesù sulla indissolubilità del matrimonio. Egli rimanda i suoi interlocutori alla legge di Mosé e quindi corregge quanto quella aveva concesso per la durezza di cuore. Di fronte al fallimento di tanti matrimoni, viene da chiederci il perché... La prima consiste senza dubbio dalla incapacità di accettazione reciproca degli sposi e quindi da una sequela di lamentele l'uno dell'altro che raffreddano e in seguito sopprimono ogni armonia di amore. Non si ha la capacità di sopportare e di vivere stabilmente una situazione che pure è stata scelta, dopo tanti anni di riflessione e reciproca conoscenza. La mutua lamentela che tende a ingigantire i difetti dell'altro che si presentano come insopportabili, tanto da ingenerare una vita invivibile. Da qui la convinzione che è necessario chiedere la separazione e poi il divorzio per non soffocare. Non si negano le difficoltà del vivere insieme... ma nella celebrazione del matrimonio vanno tenute presenti e poi affrontate con la forza dell'amore, con la grazia che dona il sacramento del matrimonio, senza lasciarsi soggiogare dall'amarezza della delusione. San Giacomo si premura di raccomandarci: "Non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri per non essere giudicati". Norma sempre valida... per tutti... anche per gli sposi!"

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    1. Il laicismo spalanca le porte all'ateismo. La legge sul divorzio toglie la spinta propulsiva al matrimonio perché i coniugi sanno che al primo freddo si coprono con la pelliccia del divorzio.
      Il Papa ha detto che se in questa società Dio si facesse di nuovo uomo, i media non ne parlerebbero nemmeno.
      Francesco ha aggiunto: "Al massimo la notizia sarebbe raccolta da qualche scalcinato giornale di provincia".
      Una dichiarazione che avvalora la tesi della morte di Dio.

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  7. Ma questo post non l'aveva scritto la bravissima Brunella

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    1. Eppure tu mi avevi detto che lavorava in un call center

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    2. Gus O.16 febbraio 2015 12:25
      Brunella lavora in un Call Center e non ha tempo per scrivere nel blog.
      Con Lucia, eravamo co-autori in due blog, si parlava in qualche email solo di famiglia, nipoti, nonni senza affrontare le tematiche del blog.
      Peccato che Brunella non scrive più. Era la migliore per me..se davvero non scrive più. Magari ora ha un'altro nome. Un nome finto intendo.😉
      Salutala per me quando la vedi.🙋‍♀️
      Buona serata, gus.

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    3. Sei ostinata fino ad arrivare all'idiozia.
      Io non conosco Brunella e non ho nemmeno il suo numero di telefono.

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    4. Di già un altro post? Come mai? 🙄😘

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    5. Non posso scrivere?

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  8. Purtroppo, in genere, le donne non si amano fra loro.

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    1. Nei posti di lavoro sorgono rivalità anche tra gli uomini.
      Ci sono donne ragionevoli che stringono amicizie forti.

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  9. Ho sempre adorato i crauti viola!Buona serata!

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    1. La burlona si chiamava Viola. Il suo ragazzo lo chiamava *l'omino*
      I crauti sono un contorno tipico della cucina tedesca. Io come verdure mangio gli spinaci, oppure la cicoria campagnola.

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  10. Uno spaccato di vita da te fotografato perfettamente che lascia l'amaro in bocca. La decisione finale è quella giusta per salvarsi da quel drammatico futuro che per le sue colleghe è già presente

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    1. Il capitalismo crea situazioni di lavoro competitive assecondando il *Dīvĭdĕ et ĭmpĕrā*, locuzione latina secondo cui il migliore espediente di una tirannide per controllare i lavoratori è dividerli, provocando rivalità e fomentando discordie.

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