Nel 1995, abbandonato l'incarico all'università dove insegnava letteratura angloamericana, Azar Nafisi propone a sette delle sue migliori studentesse di trovarsi a casa sua, nel primo giorno del weekend, per discutere di letteratura. Un seminario privato: per due anni Nafisi vede le ragazze entrare nel suo salotto, "togliersi il velo e la veste e diventare di botto a colori". Il fatto è che insieme al velo "si levavano di dosso molto di più. Lentamente, ognuna di loro acquistava una forma, un profilo, diventava il suo proprio inimitabile sé". In quelle mattine le otto donne leggono Nabokov, Henry James, Jane Austen. Discutono con passione di Lolita e di Daisy. "Il seminario diventò il nostro rifugio, il nostro universo autonomo, una sorta di sberleffo alla realtà di volti impauriti e nascosti nei veli della città sotto di noi". Nel loro rifugio Nafisi e le sue ragazze guardano il mondo attraverso l'occhio magico della letteratura". Ma sono pur sempre a Teheran, e fuori da quel salotto restano grigiore e proibizioni: così, avverte Nafisi, "è di Lolita che voglio scrivere, ma ormai mi riesce impossibile farlo senza raccontare anche di Teheran".
Recensione
È questo Leggere Lolita a Teheran: il racconto di come una donna (l'autrice) attraversa la rivoluzione islamica iraniana con un bagaglio di romanzi e una gran fiducia nella letteratura, "arte della complicazione umana". Solo che non sono ammesse sottigliezze né "complicazione umana" nel mondo in cui vivono lei e le sue studentesse. È un mondo di romanzi sconsigliati, di ragazze punite se hanno le unghie dipinte, persone che hanno dovuto imparare a non esprimersi apertamente. Nafisi cita il Nabokov di Invito a una decapitazione: insopportabile "non è il vero dolore fisico o la tortura che si infligge in un regime totalitario, bensì l'incubo di una vita trascorsa in un'atmosfera di continuo terrore". Per prima cosa dunque Nafisi vuole trasmettere l'esasperazione di una vita regolata da "norme ottuse", dove un bambino si sveglia terrorizzato perché "ha fatto un sogno illegale": il senso di oppressione di un regime che "negava valore all'opera letteraria, a meno che sostenesse l'ideologia", un regime, del resto, dove il capo del comitato di censura cinematografica è un cieco... Il seminario diventa per loro "un corso di autodifesa" da tutto questo. Ancora Nabokov: "La curiosità è insubordinazione allo stato puro".
Perché Lolita? Nella storia della ragazza di dodici anni tenuta "di fatto prigioniera" dall'uomo che ne fa la sua amante, Nafisi e le sue studentesse vedono "una denuncia dell'essenza stessa di ogni totalitarismo". Ne discutono a lungo, fanno paralleli: a Lolita, dicono, "è stata sottratta non solo la vita ma anche la possibilità di raccontarla". Anche loro sentono di aver perduto qualcosa: la generazione dell'insegnante ha perduto una libertà passata, le più giovani hanno "ricordi fatti di desideri irrealizzati". Tutte hanno imparato a "mettere una strana distanza tra noi e l'esperienza quotidiana della brutalità e dell'umiliazione". Ecco l'accusa: "Il peggior crimine di un regime totalitario è costringere i cittadini, incluse le vittime, a diventare suoi complici".
Traspare un'urgenza, da queste pagine. Non solo trasmettere quel senso di soffocamento, o forse di spiegare perché l'autrice, come molte delle sue giovani amiche, cercheranno di sottrarvisi andando via. Più ancora, è la necessità di riflettere su "come siamo arrivati a questo?". Qui l'autrice torna indietro nel tempo, e offre un raro racconto "dall'interno", soggettivo e intriso di partecipazione umana, di eventi che abbiamo visto da lontano, per lo più nei loro risvolti politici. Siamo nel 1979, quando Nafisi, terminati gli studi negli Stati uniti, torna a Teheran: la rivoluzione - per cui anche lei si era battuta, come tanti studenti iraniani all'estero che avevano lottato contro lo Shah - era vittoriosa. Nafisi comincia a insegnare letteratura angloamericana all'Università statale di Teheran. L'università era allora il principale teatro di scontri ideologici tra le correnti rivoluzionarie di sinistra e quelle islamiche; Nafisi parla di Fitzgerald e di Twain tra assemblee sull'imperialismo e di denuncia della società borghese, discute di Hucklberry Finn e di Gatsby mentre gli studenti islamici occupano l'ambasciata americana. In queste pagine - forse le più appassionanti - vediamo lo scontro riassunto nello strepitoso "processo" a Gatsby istituito dalla professoressa Nafisi, con tanto di giudice, giuria, accusa e difesa. Gatsby esprime il materialismo decadente del mondo occidentale, accusano studenti che citano Khomeini e vorrebbero letture "rivoluzionarie" e moralizzatrici. Ma un romanzo è bello se riesce a mostrare la complessità degli individui, ribatte la difesa. Intanto, "sulla scena politica si assisteva a una specie di replica del nostro processo": i romanzi "decadenti" scompaiono poco a poco dalle librerie - finché scompaiono anche le librerie.
Dopo mesi di scontri, arresti, morti, le correnti islamiche prendono il controllo delle università, le correnti di sinistra sono sconfitte, le voci laiche zittite. La "normalizzazione" arriva sotto forma di "comitato per la rivoluzione culturale". Le donne sono obbligate ad abbigliarsi in modo islamico, quelle come Nafisi lasceranno l'insegnamento (ma l'ipocrisia che colpisce chi visita l'Iran oggi era già presente allora, nelle parole del giovane islamico che chiede alla prof di adeguarsi: "In fondo è solo un pezzo di stoffa").
Con la guerra poi, trionfa la retorica della morte e del martirio. Ormai ogni critica è disfattista ("Per tutta la durata del conflitto il regime islamico non perse mai di vista la sua guerra santa, quella contro i nemici interni"). Il chador diventa una cosa "fredda e minacciosa": non sarà mai più quello che portavano le nonne, "è macchiato per sempre dalla connotazione politica che ha assunto". Imperversano gli slogan. L'unico rifugio è la lettura, nelle notti insonni per gli allarmi aerei ("tra le pagine resta la sirena dell'allarme").
Non c'è una semplice risposta al "come siamo arrivati a questo". La riflessione è accennata: quando l'autrice parla dell'università "che, come l'Iran, avevamo tutti contribuito a distruggere". Dove ricorda con sgomento la violenza verbale di quelle assemblee infuocate, da parte di studenti che spesso finiranno loro stessi vittima delle purghe. O dove, avverte: "Siamo tutti perfettamente in grado di trasformarci nel censore cieco, di imporre agli altri la nostra visione".
Era necessario ripercorrere tutto questo per tornare al seminario privato della professoressa e le sue studentesse: ora conosciamo i loro percorsi, quella sopravvissuta ad anni di carcere, quella che va al seminario di nascosto, quella che vuole emigrare... Ormai in Iran sono emersi "degli islamici di tipo nuovo", meno attenti agli slogan e più alla carriera, "liberali", pragmatici. Di fronte al dilemma "stiamo al gioco e lo chiamiamo dialogo costruttivo oppure ci ritiriamo dalla vita pubblica in nome della lotta al regime", alla fine della guerra lei era tornata a insegnare, prima di ritirarsi di nuovo, scettica verso le promesse dei "liberali" ("che ora chiamano riformisti"). Nel seminario ora discutono di James e di Jane Austen e delle incertezze personali di ciascuna, di fidanzamenti, di libertà individuale e di "diritto alla felicità". Le sue ragazze, osserva, condividono il "disagio che nasceva dalla confisca da parte del regime dei loro momenti più intimi e dei loro desideri". Vista da Teheran, l'affermazione "il privato è politico" non regge: "Non è vero naturalmente. Anzi, al centro della lotta per i diritti politici c'è proprio il desiderio (...) di impedire al politico di intromettersi nella vita privata", scrive Nafisi.
Il desiderio di evadere è condiviso. Alla fine evade Nafisi: parte per gli Stati Uniti. Porta l'avvertimento delle ragazze e di un vecchio amico-consigliere: "Non potrai scrivere di Austen senza scrivere anche di noi", le dicono: "La Austen è irrimediabilmente legata a questo posto". Proprio come Lolita, o Gatsby, in un paese dove il censore è cieco"
Le sette studentesse
*Manna. "Riusciva a trovare briciole di poesia anche in cose che la maggior parte della gente considera insignificanti".
*Mashid. " Avevamo deciso di chiamarla "Milady". ... a guadagnare significato nell'accostamento, era stato il soprannome, non il nome".
*Yassi. "E 'quella vestita di giallo... riusciva a prendere garbatamente in giro non solo gli altri, ma anche se stessa."
*Azin. " La piu' alta, con i capelli biondi e una maglietta rosa... sfacciata senza peli sulla lingua...la chiamavamo "la selvaggia".
*Mitra. "Simile al colore pastello dei suoi quadri... due deliziose fossette ne rendevano meno scontata la bellezza e Mitra se ne serviva per abbindolare vittime inconsapevoli."
*Sanaz. "Oppressa dalla famiglia e dalla società, era sempre in bilico tra desiderio di indipendenza e bisogno di approvazione."
*Nassrin. "... Non ce la fece a restare fino alla fine."
Bella recensione.Buon fine settimana.
RispondiEliminaGrazie OLga.
EliminaBuon Weekend
Delle sette studentesse, la mia preferita è senza dubbio Manna :).
RispondiEliminaDunque, un romanzo che ci fa riflettere su quante libertà abbiamo e su quante libertà dimentichiamo di avere, perché non le esercitiamo. Ovviamente discorso che esula dall'attuale momento :)
E' un libro di denuncia contro la dittatura islamica.
EliminaHa valore storico.
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RispondiEliminaQuel posto che hai indicato non lo conosco.
EliminaQuello che ho scritto è la prefazione del libro.
Riguardati.
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EliminaIn certe zone la gente vive nel terrore in base a interpretazioni errate del Corano. Ormai il fondamentalismo islamico è diventato una piaga per tutta l'umanità.
RispondiEliminaSono arrivati a crocifiggere uomini senza motivo.
L'Is è più feroce di Al Qaeda.
Con il fondamentalismo islamico non si può vivere. Questa è la realtà. Io conosco parecchi Google+ iraniani e in qualche blog le ragazze, bellissime, scrivono senza veli. In altri hanno la tunica sul vis. Quindi, c'è una certa ribellione alla follia degli Ayatollah.
RispondiEliminaQuello che succede in Iran e altrove dovrebbe farci riflettere su quanto siamo fortunati e di quanto dovremmo lamentarci meno.
RispondiEliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaNo. E' sempre la stessa.
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EliminaGus O.
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A chi nasconde il suo indirizzo non rispondo. Sappilo.
EliminaTu segnali un libro. Leggilo.
RispondiEliminaNo, invece, i pezzi di merda vanno a controllare se quello che trovano scritto è stato copiato.
Ninetta lo fa per amore, altri solo perché sono *stronzi*
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RispondiEliminaOgnuno può credere quello che lo fa stare meglio.
EliminaQuante realtà spesso distanti e lontane dalle nostre..si nasce on ogni dove e non é mai una scelta..quindi siamo fortunati?
RispondiEliminaBuona notte gus
La scelta pensi sia la tua, ma non sai che un'altra ha scelto te.
RispondiEliminaCiao Ness.
altra, perché parlo di Gus.
EliminaIl mio nome è Augusto, bruttissimo e già da piccolo mi chiamavano auGUSto.
Bhe io mi chiamo gesuaLda, bruttissimo, e in tanti ancora dicono gesuaRda .. con la R mi si altera il sistema nervoso..
EliminaBuongiorno GUS, buona giornata GES!
Ti è andata bene. Mio padre era un gerarca fascista e oltre Augusto mi ha affibbiato altri due nomi, Vittorio e Romano, che erano i figli di Mussolini. La cosa strana era che a mia sorella, nata 13 anni prima di me avevono messo il nomeme Nella che non era fascista e a mio fratello, nato 10 anni prima di me ,toccò Umberto. Umberto II di Savoia è stato Luogotenente Generale del Regno d'Italia dal 1944 al 1946 e ultimo Re d'Italia, dal 9 maggio 1946 al 18 giugno dello stesso anno.
EliminaConcludendo, tu sei Ges e Ness è il tuo amore.
EliminaBuona giornata per entrambi.
Anche i musulmani vivono in Russia. Le donne indossano foulard e abiti lunghi. Ma non si coprono la faccia.
RispondiEliminaNon mi piace Nabokov, quindi non ho letto il suo romanzo Lolita.
Nabokov fu marito fedele e esemplare e chissà dove era nascosta la voglia di Lolita.
EliminaLe donne arabe sono bellissime.
Ciao Irina.
Grazie Gus per la bella recensione.
RispondiEliminaGrazie Stefania.
EliminaCiao.