Il prelievo di organi del corpo umano si sviluppa attraverso una catena commerciale complessa e ben strutturata che ha trovato terreno fertile in diverse zone del mondo. Le stime indicano che il numero globale di trapianti commerciali – trapianti che comportano un pagamento per l’organo e quindi illegali – è di circa 10.000 all’anno, pari al 10% di tutti i trapianti. Nella maggior parte dei casi, l’organo venduto è un rene.
Il giro di affari è rilevante, stimato tra 600 milioni e 1,2 miliardi di dollari fino allo scoppio della pandemia.
Il mercato degli organi del corpo umano si pratica in diversi Paesi del Medio Oriente e in Nord Africa piuttosto che su altre zone del mondo interessate da questo sfruttamento – come la Cina o l’America Latina – Bisogna far luce innanzitutto su un mix drammatico di povertà, abusi, guerra, che caratterizza da troppo tempo queste aree. Oltre 5 milioni di rifugiati sono le prede più facili da adescare per promettere denaro in cambio di organi.
Dalla Turchia alla Siria, fino allo Yemen, alla Libia, all’Iraq e all’Egitto, la rete di disperati donatori e di broker senza scrupoli racconta storie di disumanità e di crimini che ormai vanno avanti da anni, con pochissimi progressi a livello giuridico.
Nel mirino c’è soprattutto l’Egitto, considerato il vero centro del “mercato rosso” dell’intera regione. Nel 2010 il Paese ha adottato il Transplantation of Human Organs and Tissues Act proprio per arginare il vergognoso fenomeno della vendita di reni e fegati che stava preoccupando il Governo, soprattutto per la reputazione nei confronti dei turisti stranieri.
Tuttavia, nonostante il divieto legislativo sul commercio di organi e l’istituzione di un comitato di sorveglianza incaricato di applicare le rigide disposizioni, i trapianti e i traffici illegali di organi sono continuati.
Non è stata utile nemmeno la legge interna sulla lotta alla tratta di esseri umani, nella quale si include la rimozione di organi come una forma illecita di sfruttamento.