Diventammo subito amici, noi amici impossibili. Cioè io donna normale e tu uomo anormale, almeno secondo i canoni ipocriti della cosiddetta civiltà, io innamorata della vita e tu innamorato della morte. Io così dura e tu così dolce.
V’era una dolcezza femminea in te, una gentilezza femminea. Anche la tua voce del resto aveva un che di femmineo, e ciò era strano perché i tuoi lineamenti erano i lineamenti di un uomo: secchi, feroci.
Sì esisteva una nascosta ferocia sui tuoi zigomi forti, sul tuo naso da pugile, sulle tue labbra sottili, una crudeltà clandestina. Ed essa si trasmetteva al tuo corpo piccolo e magro, alla tua andatura maschia, scattante, da belva che salta addosso e morde. Però quando parlavi o sorridevi o muovevi le mani diventavi gentile come una donna, soave come una donna.
Ed io mi sentivo quasi imbarazzata a provare quel misterioso trasporto per te. Pensavo: in fondo è lo stesso che sentirsi attratta da una donna.
Come due donne, non un uomo e una donna, andavamo a comprare pantaloni per Ninetto, giubbotti per Ninetto, e tu parlavi di lui quasi fosse stato tuo figlio: partorito dal tuo ventre, e non seminato dal tuo seme. Quasi tu fossi geloso della maternità che rimproveravi a tua madre, a noi donne. Per Ninetto, in un negozio del Village, ti invaghisti di una camicia che era la copia esatta delle camicie in uso a Sing Sing. Sul taschino sinistro era scritto: "Prigione di Stato. Galeotto numero 3678". La provasti ripetendo: «Deliziosa, gli piacerà».
Poi uscimmo e per strada v’era un corteo a favore della guerra in Vietnam, ricordi? Tipi di mezza età alzavan cartelli su cui era scritto: "Bombardate Hanoi" e ci restasti male. Da una settimana ti affannavi a spiegarmi che il vero momento rivoluzionario non era in Cina né in Russia ma in America.
«Vai a Mosca, vai a Praga, vai a Budapest e avverti che lì la rivoluzione è fallita: il socialismo ha messo al potere una classe di dirigenti e l’operaio non è padrone del proprio destino. Vai in Francia, in Italia, e ti accorgi che il comunista europeo è un uomo vuoto. Vieni in America e scopri la sinistra più bella che un marxista come me possa scoprire. I rivoluzionari di qui fanno venire in mente i primi cristiani, v’è in essi la stessa assolutezza di Cristo. M’è venuta un’idea: trasferire in America il mio film su San Paolo».
Della cultura americana assolvevi quasi tutto, ma quanto soffristi la sera in cui due studen-tesse americane ti chiesero chi fosse il tuo poeta preferito, tu rispondesti naturalmente Rimbaud, e le due ignoravano chi fosse Rimbaud. Per questo lasciasti New York così insoddisfatto? [...]
Dicono che tu fossi capace d’essere allegro, chiassoso, e che per questo ti piacesse la compagnia della gioventù: giocare a calcio, ad esempio, coi ragazzi delle borgate. Ma io non ti ho mai visto così.
La malinconia te la portavi addosso come un profumo e la tragedia era l’unica situa-zione umana che tu capissi veramente. Se una persona non era infelice, non ti interessava. Ricordo con quale affetto, un giorno, ti chinasti su me e mi stringesti un polso e mormorasti: «Anche tu, quanto a disperazione, non scherzi!» Forse per questo il destino ci fece incontrare di nuovo, anni dopo. Fu a Rio de Janeiro, dov’eri venuto con Maria Callas: in vacanza. [...]
Nessun prete mi ha mai parlato, come te, di Gesù Cristo e di San Francesco. Una volta mi hai parlato anche di Sant’Agostino, del peccato e della salvezza come li vedeva Sant’Agostino.
È stato quando mi hai recitato a me-moria il paragrafo in cui Sant’Agostino racconta di sua madre che si ubriaca. Ed ho compreso in quell’occasione che cercavi il peccato per cercar la salvezza, certo che la salvezza può venire solo dal peccato, e tanto più profondo è il peccato tanto più liberatrice è la salvezza.
Però ciò che mi dicesti su Gesù Cristo e su San Francesco, mentre Maria sonnecchiava dinanzi al mare di Copacabana, mi è rimasto come una cicatrice. Perché era un inno all’amore cantato da un uomo che non crede alla vita. Non a caso l’ho usato nel mio libro che non hai voluto leggere. L’ho messo in bocca al bambino quando interviene al processo contro la sua mamma: «Non è vero che non credi all’amore, mamma. Ci credi tanto da straziarti perché ne vedi così poco, e perché quello che vedi non è mai perfetto. Tu sei fatta d’amore. Ma è sufficiente credere all’amore se non si crede alla vita?»
Anche tu eri fatto d’amore. La tua virtù più spontanea era la generosità. Non sapevi mai dire no. Regalavi a piene mani a chiunque chiedesse: sia che si trattasse di soldi, sia che si trattasse di lavoro, sia che si trattasse di amicizia.
Ci ritrovammo per questo, rammenti. Riprendemmo a vederci quando lui fu scarcerato e venne in esilio in Italia. Andavamo spesso a cena, tutti e tre. E mangiare con te era sempre una festa, perché a mangiare con te non ci si annoiava mai. Una sera, in quel ristorante che ti piaceva per le mozzarelle, venne anche Ninetto. Ti chiamava "babbo". E tu lo trattavi proprio come un babbo tratta suo figlio, partorito dal suo ventre e non dal suo seme.
Lasciarti dopo cena, invece, era uno strazio. Perché sapevamo dove andavi, ogni volta. E, ogni volta, era come vederti correre a un appuntamento con la morte. Ogni volta io avrei voluto agguantarti per il giubbotto, trattenerti, implorarti, ripeterti ciò che ti avevo detto a New York: «Ti farai tagliare la gola, Pier Paolo!». Avrei voluto gridarti che non ne avevi il diritto perché la tua vita non apparteneva a te e basta, alla tua sete di salvezza e basta. Apparteneva a tutti noi. E noi ne avevamo bisogno. Non esisteva nessun altro in Italia capace di svelare la verità come la svelavi tu, capace di farci pensare come ci facevi pensare tu, di educarci alla coscienza civile come ci educavi tu. E ti odiavo quando ti allontanavi su quella automobile con cui i tre teppisti t’avrebbero schiacciato il cuore. Ti maledicevo. Ma poi l’odio si spingeva in un’ammirazione pazza, ed esclamavo: «Che uomo coraggioso!» Non parlo del tuo coraggio morale, ora, cioè di quello che ti faceva scrivere in cambio di contumelie, incomprensioni, offese, vendette. Parlo del tuo coraggio fisico. Bisognava avere un gran fegato per frequentare la melma che frequentavi tu, di notte. Il fegato dei cristiani che insultati e sbeffeggiati entrano nel Colosseo per farsi sbranare dai leoni.
Ventiquattr’ore prima che ti sbranassero, venni a Roma con Panagulis. Ci venni decisa a vederti, risponderti a voce su ciò che mi avevi scritto. Era un venerdì. E Panagulis ti telefonò da casa mia, alla terza cifra si inseriva una voce che scandiva: «Attenzione. A causa del sabotaggio avvenuto nei giorni scorsi alla centrale dell’Eur il servizio dei numeri che incominciano col 59 è temporaneamente sospeso». L’indomani accadde lo stesso. Ci dispiacque perché credevamo di venire a cena con te, sabato sera, ma ci consolammo pensando che saremmo riusciti a vederti domenica mattina.
Per domenica avevamo dato appuntamento a Giancarlo Pajetta e Miriam Mafai in piazza Navona: prendiamo un aperitivo e poi andiamo a mangiare. Così verso le dieci ti telefonammo di nuovo. Ma, di nuovo, si inserì quella voce che scandiva: attenzione, a causa del sabotaggio il numero non funziona.
E a piazza Navona andammo senza di te. Era una bella giornata, una giornata piena di sole. Seduti al bar ‘Tre Scalini’ ci mettemmo a parlare di Franco che non muore mai, ed io pensavo: mi sarebbe piaciuto sentir Pier Paolo parlare di Franco che non muore mai. Poi si avvicinò un ragazzo che vendeva l’Unità e disse a Pajetta: «Hanno ammazzato Pasolini».
Lo disse sorridendo, quasi annunciasse la sconfitta di una squadra di calcio. Pajetta non capì. O non volle capire? Alzò una fronte aggrottata, brontolò: «Chi? Hanno ammazzato chi?» E il ragazzo: «Pasolini». E io, assurdamente: «Pasolini chi?» E il ragazzo: «Come chi? Come Pasolini chi? Pasolini Pier Paolo». E Panagulis disse: «Non è vero». E Miriam Mafai disse: «È uno scherzo». Però allo stesso tempo si alzò e corse a telefonare per chiedere se fosse uno scherzo. Tornò quasi subito col viso pallido. «È vero. L’hanno ammazzato davvero».
In mezzo alla piazza un giullare coi pantaloni verdi suonava un piffero lungo. Suonando ballava alzando in modo grottesco le gambe fasciate dai pantaloni verdi, e la gente rideva. «L’hanno ammazzato a Ostia, stanotte», aggiunse Miriam.
Qualcuno rise più forte perché il giullare ora agitava il piffero e cantava una canzone assurda. Cantava: «L’amore è morto, virgola, l’amore è morto, punto! Così io ti piango, virgola, così io ti piango, punto! »
Non andammo a mangiare. Pajetta e la Mafai si allontanarono con la testa china, io e Panagulis ci mettemmo a camminare senza sapere dove. In una strada deserta c’era un bar deserto, con la televisione accesa. Si entrò seguiti da un giovanotto che chiedeva stravolto: «Ma è vero? È vero?» E la padrona del bar chiese: «Vero cosa?» E il giovanotto rispose: «Di Pasolini. Pasolini ammazzato». E la padrona del bar gridò: «Pasolini Pier Paolo? Gesù! Gesummaria! Ammazzato! Gesù! Sarà una cosa politica!» Poi sullo schermo della televisione apparve Giuseppe Vannucchi e dette la notizia ufficiale. Apparvero anche i due popolani che avevano scoperto il tuo corpo. Dissero che da lontano non sembravi nemmeno un corpo, tanto eri massacrato. Sembravi un mucchio di immondizia e solo dopo che t’ebbero guardato da vicino si accorsero che non eri immondizia, eri un uomo. Mi maltratterai ancora se dico che non eri un uomo, eri una luce, e una luce s’è spenta?
Oriana Fallaci
Roma, novembre 1975
V’era una dolcezza femminea in te, una gentilezza femminea. Anche la tua voce del resto aveva un che di femmineo, e ciò era strano perché i tuoi lineamenti erano i lineamenti di un uomo: secchi, feroci.
Sì esisteva una nascosta ferocia sui tuoi zigomi forti, sul tuo naso da pugile, sulle tue labbra sottili, una crudeltà clandestina. Ed essa si trasmetteva al tuo corpo piccolo e magro, alla tua andatura maschia, scattante, da belva che salta addosso e morde. Però quando parlavi o sorridevi o muovevi le mani diventavi gentile come una donna, soave come una donna.
Ed io mi sentivo quasi imbarazzata a provare quel misterioso trasporto per te. Pensavo: in fondo è lo stesso che sentirsi attratta da una donna.
Come due donne, non un uomo e una donna, andavamo a comprare pantaloni per Ninetto, giubbotti per Ninetto, e tu parlavi di lui quasi fosse stato tuo figlio: partorito dal tuo ventre, e non seminato dal tuo seme. Quasi tu fossi geloso della maternità che rimproveravi a tua madre, a noi donne. Per Ninetto, in un negozio del Village, ti invaghisti di una camicia che era la copia esatta delle camicie in uso a Sing Sing. Sul taschino sinistro era scritto: "Prigione di Stato. Galeotto numero 3678". La provasti ripetendo: «Deliziosa, gli piacerà».
Poi uscimmo e per strada v’era un corteo a favore della guerra in Vietnam, ricordi? Tipi di mezza età alzavan cartelli su cui era scritto: "Bombardate Hanoi" e ci restasti male. Da una settimana ti affannavi a spiegarmi che il vero momento rivoluzionario non era in Cina né in Russia ma in America.
«Vai a Mosca, vai a Praga, vai a Budapest e avverti che lì la rivoluzione è fallita: il socialismo ha messo al potere una classe di dirigenti e l’operaio non è padrone del proprio destino. Vai in Francia, in Italia, e ti accorgi che il comunista europeo è un uomo vuoto. Vieni in America e scopri la sinistra più bella che un marxista come me possa scoprire. I rivoluzionari di qui fanno venire in mente i primi cristiani, v’è in essi la stessa assolutezza di Cristo. M’è venuta un’idea: trasferire in America il mio film su San Paolo».
Della cultura americana assolvevi quasi tutto, ma quanto soffristi la sera in cui due studen-tesse americane ti chiesero chi fosse il tuo poeta preferito, tu rispondesti naturalmente Rimbaud, e le due ignoravano chi fosse Rimbaud. Per questo lasciasti New York così insoddisfatto? [...]
Dicono che tu fossi capace d’essere allegro, chiassoso, e che per questo ti piacesse la compagnia della gioventù: giocare a calcio, ad esempio, coi ragazzi delle borgate. Ma io non ti ho mai visto così.
La malinconia te la portavi addosso come un profumo e la tragedia era l’unica situa-zione umana che tu capissi veramente. Se una persona non era infelice, non ti interessava. Ricordo con quale affetto, un giorno, ti chinasti su me e mi stringesti un polso e mormorasti: «Anche tu, quanto a disperazione, non scherzi!» Forse per questo il destino ci fece incontrare di nuovo, anni dopo. Fu a Rio de Janeiro, dov’eri venuto con Maria Callas: in vacanza. [...]
Nessun prete mi ha mai parlato, come te, di Gesù Cristo e di San Francesco. Una volta mi hai parlato anche di Sant’Agostino, del peccato e della salvezza come li vedeva Sant’Agostino.
È stato quando mi hai recitato a me-moria il paragrafo in cui Sant’Agostino racconta di sua madre che si ubriaca. Ed ho compreso in quell’occasione che cercavi il peccato per cercar la salvezza, certo che la salvezza può venire solo dal peccato, e tanto più profondo è il peccato tanto più liberatrice è la salvezza.
Però ciò che mi dicesti su Gesù Cristo e su San Francesco, mentre Maria sonnecchiava dinanzi al mare di Copacabana, mi è rimasto come una cicatrice. Perché era un inno all’amore cantato da un uomo che non crede alla vita. Non a caso l’ho usato nel mio libro che non hai voluto leggere. L’ho messo in bocca al bambino quando interviene al processo contro la sua mamma: «Non è vero che non credi all’amore, mamma. Ci credi tanto da straziarti perché ne vedi così poco, e perché quello che vedi non è mai perfetto. Tu sei fatta d’amore. Ma è sufficiente credere all’amore se non si crede alla vita?»
Anche tu eri fatto d’amore. La tua virtù più spontanea era la generosità. Non sapevi mai dire no. Regalavi a piene mani a chiunque chiedesse: sia che si trattasse di soldi, sia che si trattasse di lavoro, sia che si trattasse di amicizia.
Ci ritrovammo per questo, rammenti. Riprendemmo a vederci quando lui fu scarcerato e venne in esilio in Italia. Andavamo spesso a cena, tutti e tre. E mangiare con te era sempre una festa, perché a mangiare con te non ci si annoiava mai. Una sera, in quel ristorante che ti piaceva per le mozzarelle, venne anche Ninetto. Ti chiamava "babbo". E tu lo trattavi proprio come un babbo tratta suo figlio, partorito dal suo ventre e non dal suo seme.
Lasciarti dopo cena, invece, era uno strazio. Perché sapevamo dove andavi, ogni volta. E, ogni volta, era come vederti correre a un appuntamento con la morte. Ogni volta io avrei voluto agguantarti per il giubbotto, trattenerti, implorarti, ripeterti ciò che ti avevo detto a New York: «Ti farai tagliare la gola, Pier Paolo!». Avrei voluto gridarti che non ne avevi il diritto perché la tua vita non apparteneva a te e basta, alla tua sete di salvezza e basta. Apparteneva a tutti noi. E noi ne avevamo bisogno. Non esisteva nessun altro in Italia capace di svelare la verità come la svelavi tu, capace di farci pensare come ci facevi pensare tu, di educarci alla coscienza civile come ci educavi tu. E ti odiavo quando ti allontanavi su quella automobile con cui i tre teppisti t’avrebbero schiacciato il cuore. Ti maledicevo. Ma poi l’odio si spingeva in un’ammirazione pazza, ed esclamavo: «Che uomo coraggioso!» Non parlo del tuo coraggio morale, ora, cioè di quello che ti faceva scrivere in cambio di contumelie, incomprensioni, offese, vendette. Parlo del tuo coraggio fisico. Bisognava avere un gran fegato per frequentare la melma che frequentavi tu, di notte. Il fegato dei cristiani che insultati e sbeffeggiati entrano nel Colosseo per farsi sbranare dai leoni.
Ventiquattr’ore prima che ti sbranassero, venni a Roma con Panagulis. Ci venni decisa a vederti, risponderti a voce su ciò che mi avevi scritto. Era un venerdì. E Panagulis ti telefonò da casa mia, alla terza cifra si inseriva una voce che scandiva: «Attenzione. A causa del sabotaggio avvenuto nei giorni scorsi alla centrale dell’Eur il servizio dei numeri che incominciano col 59 è temporaneamente sospeso». L’indomani accadde lo stesso. Ci dispiacque perché credevamo di venire a cena con te, sabato sera, ma ci consolammo pensando che saremmo riusciti a vederti domenica mattina.
Per domenica avevamo dato appuntamento a Giancarlo Pajetta e Miriam Mafai in piazza Navona: prendiamo un aperitivo e poi andiamo a mangiare. Così verso le dieci ti telefonammo di nuovo. Ma, di nuovo, si inserì quella voce che scandiva: attenzione, a causa del sabotaggio il numero non funziona.
E a piazza Navona andammo senza di te. Era una bella giornata, una giornata piena di sole. Seduti al bar ‘Tre Scalini’ ci mettemmo a parlare di Franco che non muore mai, ed io pensavo: mi sarebbe piaciuto sentir Pier Paolo parlare di Franco che non muore mai. Poi si avvicinò un ragazzo che vendeva l’Unità e disse a Pajetta: «Hanno ammazzato Pasolini».
Lo disse sorridendo, quasi annunciasse la sconfitta di una squadra di calcio. Pajetta non capì. O non volle capire? Alzò una fronte aggrottata, brontolò: «Chi? Hanno ammazzato chi?» E il ragazzo: «Pasolini». E io, assurdamente: «Pasolini chi?» E il ragazzo: «Come chi? Come Pasolini chi? Pasolini Pier Paolo». E Panagulis disse: «Non è vero». E Miriam Mafai disse: «È uno scherzo». Però allo stesso tempo si alzò e corse a telefonare per chiedere se fosse uno scherzo. Tornò quasi subito col viso pallido. «È vero. L’hanno ammazzato davvero».
In mezzo alla piazza un giullare coi pantaloni verdi suonava un piffero lungo. Suonando ballava alzando in modo grottesco le gambe fasciate dai pantaloni verdi, e la gente rideva. «L’hanno ammazzato a Ostia, stanotte», aggiunse Miriam.
Qualcuno rise più forte perché il giullare ora agitava il piffero e cantava una canzone assurda. Cantava: «L’amore è morto, virgola, l’amore è morto, punto! Così io ti piango, virgola, così io ti piango, punto! »
Non andammo a mangiare. Pajetta e la Mafai si allontanarono con la testa china, io e Panagulis ci mettemmo a camminare senza sapere dove. In una strada deserta c’era un bar deserto, con la televisione accesa. Si entrò seguiti da un giovanotto che chiedeva stravolto: «Ma è vero? È vero?» E la padrona del bar chiese: «Vero cosa?» E il giovanotto rispose: «Di Pasolini. Pasolini ammazzato». E la padrona del bar gridò: «Pasolini Pier Paolo? Gesù! Gesummaria! Ammazzato! Gesù! Sarà una cosa politica!» Poi sullo schermo della televisione apparve Giuseppe Vannucchi e dette la notizia ufficiale. Apparvero anche i due popolani che avevano scoperto il tuo corpo. Dissero che da lontano non sembravi nemmeno un corpo, tanto eri massacrato. Sembravi un mucchio di immondizia e solo dopo che t’ebbero guardato da vicino si accorsero che non eri immondizia, eri un uomo. Mi maltratterai ancora se dico che non eri un uomo, eri una luce, e una luce s’è spenta?
Oriana Fallaci
Roma, novembre 1975
Immagine:
RispondiEliminaPossibile ricerca correlata: oriana fallaci
L'intellettuale è colui che, in un corpo a corpo tra esistenza e idealità, rischia un giudizio storico calato nella vita del proprio Paese.
RispondiEliminaUn giudizio che quando è autentico confina l'intellettuale in una scomoda solitudine.
Intellettuali sono stati Gobetti, Gramsci, Testori e Pasolini.
Pasolini è il grande diagnostico della rivoluzione antropologica in Italia, quella rivoluzione per cui dalla metà degli anni 50 alla metà degli anni 60 avviene un passaggio velocissimo da un mondo tradizionale fondato su una concezione umanistica e solidale a un altro in cui trionfano egoismo, apparenza, vuoto morale.
E' il mondo del Nuovo Potere che nella sua ingannevole tolleranza persegue un'omologazione generalizzata.
Odiavi troppo il peccato, il sesso, che per te era peccato. Amavi troppo la purezza, la castità che per te era salvezza. E meno purezza trovavi, più ti vendicavi cercando la sporcizia, la sofferenza, la volgarità: come una punizione. Come certi frati che si flagellano, la cercavi proprio con il sesso che per te era peccato. Il sesso odioso dei ragazzi dal volto privo di intelligenza (tu che avevi il culto dell’intelligenza), dal corpo privo di grazia (tu che avevi il culto della grazia), dalla mente priva di bellezza (tu che avevi il culto della bellezza).
EliminaPer arrivare all'eremo di Sant'Alberto di Butrio occorre lasciare l'automobile qualche chilometro prima ed incamminarsi tra i monti dell'Oltrepò pavese. E' la primavera del 1963 quando Pier Paolo Pasolini intraprende anch'egli la lunga passeggiata per l'eremo Sta lavorando al "Vangelo secondo Matteo" , e non è la prima volta che cerca ispirazioni in colloqui con uomini di fede o visitando luoghi di preghiera. Pasolini parla in particolare con Cesare Pisano e rimane stupito per l'attenzione che gli dedica il frate. Era un colloquio straordinario, diceva Pasolini, perché quel frate dialogava con naturalezza, pur nel suo linguaggio religioso, da risultare non solo rispettoso, ma affascinante. Non si stupiva dello scetticismo dell'intellettuale e aveva parole di conforto consapevole che Gesù ama i più lontani che i vicini, che non si scandalizza di niente, e che solo Lui conosce il cuore umano. Pier Paolo, di fronte al frate, un originale come lui e creativo, si sentiva a casa sua. Definiva Cesare Pisano un figlio d'arte perché riusciva a trasformare in bella e straordinaria una vita che, analizzata razionalmente, è la morte civile. Quasi una follia. Di quell'incontro restano questi versi: " E questa fu la via per cui da uomo senza umanità, da inconscio succube, o spia, o torbido cacciatore di benevolenza, ebbi tentazione di santità".
RispondiEliminaQuesto è Pasolini.
Oriana Fallaci è una grande icona del giornalismo e della letteratura italiana; robusta di carattere, efferata come una lama di coltello con le parole. Simbolo del femminismo internazionale, da sempre ha creato su di se opinioni forti e spesso di contraddittorie, ma non ha mai mancato di portare avanti i suoi ideali. La ricordo come una donna tenace, simbolo di un coraggio senza pari. Indubbiamente come lei, merce preziosa, ne nascono poche.
Elimina"Lettera a un bambino mai nato"
EliminaIl critico Carlo Bo scrisse: «la Fallaci ha saputo cogliere con il suo fiuto straordinario un tema vitale, lo ha assunto come mezzo di trasmissione della sua anima ferita e alla fine l'ha cantato con dolore e fra le lacrime».
QUI
EliminaLui straordinario. una mente eccezionale un artista meraviglioso. Lui, denuncia pura attraverso l'arte. Quanto alla lettera della Fallaci, meravigliosamente straziante, un insieme di immagini poetiche e profonde di Pasolini uomo e pensatore, ed al contempo nell'ultima parte uno straziante urlo di dolore, crudo, intenso e sconvolgente.
RispondiEliminaQuello che ho postato è riservato solo a chi sa leggere.
EliminaGrazie Daniele.
Pasolini fu espulso dal P.C.I per immoralità, tanto per capire il clima culturale e politico dell'Italia del dopoguerra.
RispondiEliminaIl padre di Pasolini era un alcolizzato.
Ciao.
Ho sempre amato la scrittura della Fallaci, non avevo mai letto questa sconvolgente lettera che rivela sentimenti ed emozioni straordinari. Grazie a te per averla postata. Buona serata.
RispondiEliminasinforosa
Pier Paolo Pasolini ed Oriana Fallaci sono stati due giganti del loro tempo ma hanno scritto cose in grado di viaggiare in avanti nel tempo, spesso anche in pagine a prima vista secondarie ma solo perché meno conosciute di altre.
Elimina‘Scritti Corsari’ (raccolta di articoli pubblicati tra il ’73 e il ’75) e ‘Il Sesso Inutile’ (reportage narrativo del ’61 sulla condizione della donna nel mondo) saranno punto di partenza e di approdo di un piccolo viaggio attraverso pregiudizi, visioni, ammonimenti inascoltati, variazioni sul tema, pensieri e soprattutto agitazioni.
http://www.cancelloedarnonenews.it/giovanni-meola-presenta-scritti-ancora-corsari-e-sesso-ancora-inutile-al-teatro-rostocco-di-acerra-19-e-20-dicembre/
QUI
EliminaIl viatico uscì dalla porta della chiesa a mezzogiorno. Su tutte le strade era la primizia della neve, su tutte le case la neve. Ma in alto grandi isole azzurre apparivano tra le nuvole nevose, si dilatavano sul palazzo di Brina lentamente, s'illuminavano verso la Bandiera. E nell aria bianca, sul paese bianco appariva ora subitamente il miracolo del sole. Il viatico s incamminava alla casa di Orsola dell Arca. La gente si fermava a veder passare il prete incedente a capo nudo, con la stola violacea, sotto l ampio ombrello scarlatto, tra le lanterne portate dai clerici accese. La campanella squillava limpidamente accompagnando i Salmi susurrati dal prete. I cani vagabondi si scansavano nei vicoli al passaggio. Mazzanti cessò di ammucchiare la neve all angolo della piazza e si scoprì la zucca inchinandosi. Si spandeva in quel punto dal forno di Flaiano nell aria l'odore caldo e sano del pane recente.
EliminaQuesto è D'Annunzio nelle Novelle della Pescara
Io penso che la maggior parte dei blogger non credo si sentano di essere poeti o scrittori Ma tirino fuori qualcosa di sé da condividere con altri.
EliminaTutti possiamo scrivere, la scrittura è democratica per fortuna.
EliminaMa essere uno scrittore è diverso. Una vocazione, un'arte, un talento.
Tutti scriviamo e pubblichiamo.
EliminaPoi la persona onesta si confronta con chi aveva talento e dovrebbe smettere di scrivere.
Anche di copiare?
EliminaE' l'eccezione che conferma la regola.
EliminaSono contento di rivederti.
Ciao Silvi.
Rari nantes in gurgite vasto.
RispondiEliminaBuongiorno Gus. Erano ed é le parole restano! Ricordi veri!
RispondiEliminaCertamente.
EliminaCiao Francesco.
CHIESA' se mentre moriva ha detto: "E' TUTTO COMPIUTO" e perdonato i suoi carnefici. Dopotutto anche Lazzaro fu resuscitato per poi morire di una morte violenta.
RispondiEliminaSì.
EliminaBentornato dovrei dirlo io e non tu a meno che tu non consideri questo spazio come il tuo blog.
EliminaTi piace di più Tiziano Ferro che ha trovato il marito?
RispondiEliminaL'orientamento sessuale è qualcosa che accade e nessuno ne ha colpa.
Aggiornati. Su Sky puoi trovare un film di Ettore Scola: "Una giornata particolare" con Marcello Mastroianni e Sophia Loren.
Più che un film è una luce che illumina l'oscurantismo di chi brancola nel buio e si attacca a un moralismo d'accatto.
Forse non vuoi capire. Io non accetto la pedofilia, perché trattasi solo di pedofilia.
RispondiEliminaI gay sono persone raffinate e sensibilissime. Le trans sono meglio di certe donne. I travestiti mi sono pure simpatici.
Notte
Pedofilia significa abusare sessualmente di un ragazzino o di una ragazzina. Pasolini in pratica era abusato. La parte attiva era compiuta da Pelosi e dagli altri come lui.
EliminaLa fonte sicuramente non è attendibile.
EliminaChi è +pedofilo tra queste due coppie?
Berlusca-Ruby
Pasolini-Pelosi.
Forse nessuno dei due. Una ragazza sviluppata che si prostituisce è sicuramente maggiorenne e anche Pelosi lo era.
EliminaRIPETO Forse non vuoi capire. Io non accetto la pedofilia, perché trattasi solo di PEDOFILIA. PUNTO.
RispondiEliminaI gay sono persone raffinate e sensibilissime. Le trans sono meglio di certe donne. I travestiti mi sono pure SIMPATICI. AGGIORNATI TU.
No. io ho visto morte a Venezia. Bellissimo film
RispondiEliminaOrazione di Moravia ai funerali di Pasolini
RispondiEliminaTrascrizione dell’orazione di Moravia ai funerali di Pasolini, il 5 novembre 1975
«Poi abbiamo perduto anche il simile. Cosa intendo per simile: intendo che lui ha fatto delle cose, si è allineato nella nostra cultura, accanto ai nostri maggiori scrittori, ai nostri maggiori registi. In questo era simile, cioè era un elemento prezioso di qualsiasi società.
Qualsiasi società sarebbe stata contenta di avere Pasolini tra le sue file. Abbiamo perso prima di tutto un poeta. E poeti non ce ne sono tanti nel mondo, ne nascono tre o quattro soltanto in un secolo (applausi).
Quando sarà finito questo secolo, Pasolini sarà tra i pochissimi che conteranno come poeta. Il poeta dovrebbe esser sacro.
Poi abbiamo perduto anche un romanziere. Il romanziere delle borgate, il romanziere dei ragazzi di vita, della vita violenta. Un romanziere che aveva scritto due romanzi anch’essi esemplari, i quali accanto a un’osservazione molto realistica, c’erano delle soluzioni linguistiche, delle soluzioni, diciamo così, tra il dialetto e la lingua italiana che erano anch’esse stranamente nuove.
Poi abbiamo perso un regista che tutti conoscono no? Pasolini fu la lezione dei giapponesi, fu la lezione del cinema migliore europeo. Ha fatto poi una serie di film alcuni dei quali sono così ispirati a quel suo realismo che io chiamo romanico, cioè un realismo arcaico, un realismo gentile e al tempo stesso misterioso. Altri ispirati ai miti, il mito di Edipo per esempio. Poi ancora al grande suo mito, il mito del sottoproletariato, il quale era portatore, secondo Pasolini, e questo l’ha spiegato in tutti i suoi film e i suoi romanzi, era portatore di una umiltà che potrebbe riportare a una palingenesi del mondo.
Questo mito lui l’ha illustrato anche per esempio nell’ultimo film, che si chiama Il Fiore delle Mille e una notte. Lì si vede come questo schema del sottoproletariato, questo schema dell’umiltà dei poveri, Pasolini l’aveva esteso in fondo a tutto il Terzo mondo e alla cultura del Terzo mondo. Infine, abbiamo perduto un saggista. Vorrei dire due parole particolari su questo saggista. Ora il saggista era anche quello una nuova attività e a cosa corrispondeva questa nuova attività? Corrispondeva al suo interesse civico e qui si viene a un altro aspetto di Pasolini. Benché fosse uno scrittore con dei fermenti decadentistici, benché fosse estremamente raffinato e manieristico, tuttavia aveva un’attenzione per i problemi sociali del suo paese, per lo sviluppo di questo paese. Un’attenzione diciamolo pure patriottica che pochi hanno avuto. Tutto questo l’Italia l’ha perduto, ha perduto un uomo prezioso che era nel fiore degli anni. Ora io dico: quest’immagine che mi perseguita, di Pasolini che fugge a piedi, è inseguito da qualche cosa che non ha volto e che è quello che l’ha ucciso, è un’immagine emblematica di questo paese. Cioè un’immagine che deve spingerci a migliorare questo paese come Pasolini stesso avrebbe voluto (applausi)».
Alberto Moravia
Sono commossa, che uomo abbiamo perso. 😪
EliminaNo, mi piace piu ninetto :il volto del culto dell'intelligenza fatta uomo...o donna, non ha importanza.
RispondiElimina1,242,656- 02.19
RispondiEliminaUn Presidente del Consiglio che pratica il bunga-bunga con ragazze minorenni non è chiamato pedofilo e nemmeno i puttanieri che fanno sesso con le slave bionde di 16 anni non sono pedofili. Pasolini, invece, è pedofilo.
RispondiEliminaTu della mia vita reale non sai niente, però ti piace definirmi perverso e ambiguo. Io do a piene mani.
RispondiEliminaSilvi, se vuoi scrivere qui devi evitare quel tipo di linguaggio offensivo. La conseguenza può essere la cancellazione, oppure la moderazione.
RispondiEliminaChi è Silvi? Franca valeria oliveri?
EliminaCarneade, chi era costei?
EliminaDella Fallaci ho letto tutto: era una grande donna con una visione del mondo e della vita a 360 gradi. Non credo ne troveremo mai altre come lei.
RispondiEliminaBuona serata.
Straordinario pezzo di una grande scrittrice. Grazie per avermelo fatto conoscere.
RispondiEliminaGrazie per aver parlato di Pasolini.
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