Beppe Severgnini | 26 febbraio 2022
Per comprendere le conseguenze del mancato sostegno alla democrazia in Russia, occorre tempo. Ma qualcosa si muove. Degli applausi a Putin qualcuno, in Italia e in Europa, comincia a vergognarsi.
Un dramma può essere istruttivo? Certo, e per fortuna. Nessuno vorrebbe imparare così, ma non c’è dubbio che il dolore ci insegni qualcosa. Ci spinge a interrogarci, a compatire, a condividere, a rimpiangere. Talvolta a pentirci. L’Ucraina non fa eccezione.
Una nazione in pace viene invasa, attaccata, bombardata. Come se la storia, impazzita, si fosse messa a correre all’indietro, e Kiev 2022 inseguisse Praga 1968, Budapest 1956, Vienna 1938. Una Anschluss fuori tempo massimo che sarebbe grottesca, se non fosse tragica. «Liberare l’Ucraina da nazisti e drogati» è il proposito di Vladimir Putin. Sembra una battuta in una sceneggiatura di Mel Brooks, non la dichiarazione del presidente di una grande potenza del XXI secolo.
Qual è la differenza tra le lezioni di oggi e quelle di ieri? Ora vediamo di più, lo vediamo in fretta, volendo lo rivediamo. Questo facilita la compassione, non sempre la comprensione. Per quella, occorrono i dettagli. Leggete i servizi di Francesco Battistini da Kiev, di Andrea Nicastro da Mariupol’, di Lorenzo Cremonesi dal confine occidentale: nei loro racconti c’è tutta la follia di una guerra assurda e vicina. Aprite Google Maps. Trieste è a metà strada fra Palermo e Kiev.
Capiremo i nostri errori? Le azioni e le omissioni che non hanno impedito il dramma? Per comprendere le conseguenze del mancato sostegno alla democrazia in Russia, occorre tempo; per valutare i motivi della nostra eccessiva dipendenza energetica, serve onestà. Ma qualcosa si muove. Degli applausi e degli inchini a Putin qualcuno, in Italia e in Europa, comincia a vergognarsi.
Come si spiega quel sostegno acritico? In molti modi: simpatia personale, nata quando Putin sembrava diverso; calcolo politico; interessi economici. Vocazione al servilismo, in qualche caso. È accaduto a politici, diplomatici, governanti in servizio e in pensione, architetti e cantanti, gente d’affari e persone di cultura. «A Mosca, a Mosca!», ripetevano, come le sorelle di Cechov. Molti sperano, in queste giorni drammatici, che non sbuchino certe immagini, certi abbracci, certi post. Se il loro silenzio imbarazzato fosse l’inizio di un esame di coscienza, sarebbe una buona notizia. Ma è così?
Beppe Severgnini
Corriere della Sera.