In
generale noi abbiamo una coscienza che a volte è già scritta (fede), oppure si
forma con le esperienze della vita e dal giudizio che diamo alla realtà. Questa
coscienza si porta dietro incrostazioni educative, dubbi esistenziali, domande
irrisolte. La vita ci costringe quotidianamente a scegliere, ma le nostre
decisioni si trascinano dietro le perplessità della coscienza. Per questo ogni
nostra azione è frutto di compromessi e manca di chiarezza. Si prova il senso
di colpa perché quello che facciamo va in contrasto con una coscienza non
ancora matura e consciamente o inconsciamente carica di dubbi.
Mi
pongo spesso questa domanda: "Ma io sto vivendo bene, quello che faccio
piacerà al Signore?" Se qualcosa non mi convince in me non nasce il senso
di colpa ma la consapevolezza dell'errore che in teologia viene chiamato
"peccato". Il mio punto di arrivo è raggiungere la libertà perfetta,
quella che ti evita di scegliere e quindi di sbagliare perché già sai quello
che devi fare. Un po' come il samaritano che quando sul ciglio della strada che
da Gerusalemme scende a Gerico vede un uomo ferito, corre subito ad aiutarlo
senza porsi domande. Il sacerdote e il levita, invece, si pongono la stessa
domanda: "E se quell'uomo per terra sta fingendo di star male e io mi
avvicino per soccorrerlo e lui mi deruba e poi mi ammazza?". Questa è la
libertà imperfetta.