L’INTERVISTA
Coronavirus, l’infettivologo Galli: «L’epidemia nata fuori dall’ospedale, dov’è stata soltanto amplificata. Ecco perché tanti casi in Italia»
«Purtroppo con il primo paziente non si è potuto capire subito cosa avesse. Ora bisogna vivere normalmente seguendo le indicazioni delle autorità. La diffusione globale della malattia aiuterà a trovare prima un vaccino»
di Luigi Ripamonti
Perché proprio in Italia tanti casi di Covid-2019? Anche in altre nazioni europee ci sono stati casi ma non un contagio così esteso.
«Non è affatto detto che in altri Paesi non possa capitare la stessa cosa» risponde Massimo Galli, ordinario di Malattie infettive all’Università degli Studi di Milano e primario del reparto di Malattie infettive III dell’Ospedale Sacco di Milano. «Da noi si è verificata la situazione più sfortunata possibile, cioè l’innescarsi di un’epidemia nel contesto di un ospedale, come accadde per la Mers a Seul nel 2015. Purtroppo, in questi casi, un ospedale si può trasformare in uno spaventoso amplificatore del contagio se la malattia viene portata da un paziente per il quale non appare un rischio correlato: il contatto con altri pazienti con la medesima patologia oppure la provenienza da un Paese significativamente interessato dall’infezione. Chi è andato all’ospedale di Codogno non era stato in Cina e, fra l’altro, la persona proveniente da Shanghai che a posteriori si era ipotizzato potesse averla contagiata è stato appurato non aver contratto l’infezione. Non sappiamo quindi ancora chi ha portato nell’area di Codogno il coronavirus, però il primo caso clinicamente impegnativo di Covid-19 è stato trattato senza le precauzioni del caso perché interpretato come altra patologia».