Il patrimonio che Antonio Gramsci ha lasciato all’Italia e alla sua cultura è veramente immenso. Era un patrimonio che avrebbe potuto andare disperso, date le condizioni politiche dell’Italia degli anni 30, in pieno fascismo e dato anche il fatto che, come è noto, Gramsci scrisse dal carcere i suoi “Quaderni”. I “Quaderni del carcere” furono sottratti dalla cognata dalla camera della Clinica Quisisana di Roma dove Gramsci era spirato, e portati a Raffaele Mattioli che li custodì nelle ben munite casseforti della Banca Commerciale Italiana di cui era il presidente. Gramsci il grande intellettuale che sapeva commuoversi. Così parla della sua donna: Giulia, ventiseienne, è bella, alta, ha un aspetto romantico; Gramsci ne è conquistato. Ricorderà: «il primo giorno che non osavo entrare nella tua stanza perché mi avevi intimidito al giorno che sei partita a piedi ed io ti ho accompagnato fino alla grande strada attraverso la foresta e sono rimasto tanto tempo fermo per vederti allontanare tutta sola, col tuo carico da viandante, per la grande strada, verso il mondo grande e terribile ho molto pensato a te, che sei entrata nella mia vita e mi hai dato l'amore e mi hai dato ciò che mi era sempre mancato e mi faceva spesso cattivo e torbido». E quell'immagine di lei, viandante in un mondo grande e terribile, con il suo senso doloroso di distacco, ritornerà ancora dal carcere: «Ricordi quando sei ripartita dal bosco d'argento ti ho accompagnata fino all'orlo della strada maestra e sono rimasto a lungo a vederti allontanare così ti vedo sempre mentre ti allontani a passi brevi, col violino in una mano e nell'altra la tua borsa da viaggio, così pittoresca».
Non sono di sinistra ma per onestà intellettuale non posso non dire che da Gramsci c'è molto da imparare. Primo e unico a leggere tra le righe i drammi dell'unità d'Italia e alla conseguente questione meridionale.
Gramsci, nel 1920, in un suo puntuale articolo su Ordine Nuovo, scrive:
“Lo Stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando e seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono di infamare chiamandoli briganti”. Scusa se sono andato off topic. Buon anno
Che fine hanno fatto gli intellettuali di sinistra? La mutazione genetica si è compiuta già prima della caduta del Muro. «La dialettica non era più tra etica della convinzione ed etica della responsabilità, ma piuttosto tra ingaggi e benefits… Gli intellettuali con la maiuscola riuscivano a tenere saldamente nelle loro mani i tre poteri: quello dell’accademia (il titolo, lo status), quello della comunicazione (i quotidiani, la televisione, la radio), e infine quello del conto corrente (il fatturato annuo). Il bersaglio preferito erano i “vetero-marxisti”, coloro che non capivano che il mondo stava cambiando, che non sapevano optare per la “governabilità”». La diagnosi è di Angelo d’Orsi, ordinario di storia delle dottrine politiche all’università di Torino, autore di libri importanti (l’ultimo è Gramsci. Una nuova biografia, Feltrinelli, 2017) e, con il suo maestro Norberto Bobbio, il più acuto indagatore del ceto intellettuale italiano. Ecco un estratto dell’intervista, firmata da Roberto Casalini, che potete leggere integralmente su Fq Millennium, in edicola con un numero dedicato al crollo della sinistra e alle possibili strade per ricostruirla.
Carlo Rosselli partiva da Mazzini; Gramsci da Marx e da Lenin. Per arrivare all'idea del socialismo come trasformazione sociale sorretta da una riforma intellettuale e morale capace di realizzare l'elevamento civile delle classi subalterne, aveva percorso una lunga strada grazie alla libertà morale e intellettuale che gli diede la forza di andare contro le idee prevalenti nel suo stesso partito, senza paura di affrontare, anche nelle terribili condizioni del carcere, l'ostilità degli stessi compagni comunisti che lo giudicavano un traditore della causa. La sua è una testimonianza di libertà, per tutti i tempi.
Fermo restando il dovere di corretta e leale esecuzione degli indirizzi... politici connesso alla natura di tali incarichi e al loro carattere fiduciario, ai titolari degli uffici di diretta collaborazione è forse possibile agli intellettuali di chiedere qualche cosa di più, e cioè amore di verità e capacità di rappresentare agli interlocutori istituzionali, se necessario “spiazzandoli” con la propria cultura nel rapporto tra l'interesse permanente della collettività e delle persone (l'Eterno, in una prospettiva da credenti) e il tempo passa. È un peccato solo il piacere di ascoltarsi più che fare... Oggi.
Innanzitutto è necessario spiegare che cosa Gramsci intendesse per “società civile” e, sulla base di ciò, per “egemonia, egli intende la società civile in un senso molto particolare che non è utilizzato da altri pensatori. La società civile, in senso specificamente gramsciano, è costituita da un insieme di associazioni e organismi privati, come i sindacati, i partiti politici, le chiese, gli editori, i giornali. Tali organismi sono istituiti mediante l'iniziativa di individui o di gruppi che, in quanto tali, non appartengono alla sfera pubblica dello stato, e funzionano secondo la prassi dell'adesione volontaria; questo è dunque un dato fondamentale: c’è l’iniziativa degli individui e non un comando dall'alto, dallo stato. Questi organismi, nei quali gli intellettuali giocano un decisivo ruolo di organizzazione, cercano di ottenere il consenso di larghe masse della popolazione e, in questo senso, essi sono il luogo di una lotta per l'“egemonia”, culturale e politica, di un gruppo sull'intera società: il principio non è dunque quello del comando o della coercizione, ma quello del consenso.
Dal '20 in poi l'ho in gran parte vissuto sotto l'incubo di ciò che sarebbe successo in Italia e della enorme quantità di forza che avrei dovuto avere per fare fino in fondo ciò che mi pareva giusto e necessario.
Ogni nostra azione si trasmette negli altri secondo il suo valore di bene e di male. Passa di padre in figlio, da una generazione all'altra, in un movimento perpetuo.
Confesso candidamente che mi piace leggerti perché ogni post che pubblichi mi apre un po' di più il cervello. Quali di storia e di filo. Ma forse te l'ho già detto. Comincio a perdere la memoria 😞😞😞. Ahimè ... Come va con la 🌨️? Abbraccio siempre
Giovanni Testori, intellettuale milanese Scritto da Rossella Atzori.
Storico dell’arte, pittore, critico letterario, poeta, scrittore, drammaturgo, regista e attore. Difficile definire in una sola parola Giovanni Testori, uno dei più importanti intellettuali italiani del Novecento. Nato il 12 maggio 1923 a Novate Milanese, frequentò il Liceo San Carlo a Milano e si laureò in Lettere all'Università Cattolica del Sacro Cuore nel 1946; a 17 anni collaborava già ad alcune riviste del GUF (Gruppi Universitari Fascisti), scrivendo articoli di critica d’arte. Allievo prediletto di Roberto Longhi, nel 1952 intraprende con successo la via della critica d’arte, incentrando principalmente i suoi studi sulla pittura lomabarda dal XVI al XVIII secolo, attratto però anche da pittori a lui contemporanei come Cassinari, Morlotti e Guttuso. Nel 1954 Einaudi pubblica la sua prima opera di narrativa: Il Dio di Roserio, a cui seguiranno quelle del ciclo de “I segreti di Milano”, caratterizzate dalla rappresentazione della realtà milanese e del suo hinterland; fa il suo esordio come drammaturgo al Piccolo Teatro, nel 1960, con quella che è la sua maggiore opera teatrale: L’Arialda. L’opera suscitò subito un grande scandalo per la presunta oscenità del testo, venato da tematiche omosessuali, così ché venne censurata e se ne vietò la rappresentazione; il regista Luchino Visconti e gli attori Paolo Stoppa, Umberto Orsini e Rina Morelli si rivolsero allora al Presidente della Repubblica, che si rifiutò però di riceverli. L’anno seguente L’Arialda venne finalmente messa in scena e ha inizio il sodalizio con Visconti, e proprio lo scandalo contribuì a far conoscere l’opera di Testori al grande pubblico. Dal 1972, con Franco Parenti, porta in scena la Trilogia degli Scarrozzanti (L’Amleto, 1972 – Macbetto, 1974 – Edipus, 1977) dando vita, con Andrée Ruth Shammah al Salone Pier Lombardo. Qui sperimenta un linguaggio originale, in cui il dialetto lombardo si fonde con elementi estratti dal francese e dall’inglese. Un doloroso lutto familiare, la morte della madre nel 1977, segna una nuova fase della sua vita, in cui realizza appieno la sua conversione cattolica e si avvicina al gruppo di Comunione e Liberazione, dal quale diceva di sentirsi accolto “nonostante la condizione di omosessuale”. Frutto di questa rinnovata religiosità è una nuova trilogia: Conversazione con la morte (1978), Interrogatorio a Maria (1979) e Factum est (1981). Dal 1977 collabora con il Corriere della Sera, succedendo a Pier Paolo Pasolini come commentatore in prima pagina, e divenendo l’anno seguente responsabile della pagina artistica. Negli anni Ottanta si andò intensificando la sua attività di critico militante, rivolta a molti giovani talenti che devono a lui la notorietà; collaborò assiduamente con Franco Branciaroli e fondò con Emanuele Banterle il Teatro degli Incamminati. Dopo tre anni di malattia, Testori muore il 16 marzo 1993, quando oltre 800 articoli si erano andati ad affiancare ai suoi celebri drammi, romanzi e studi critici. Rossella Atzori
Del capodanno ho sempre odiato il doversi divertire a tutti i costi, condividere magari il freddo di una piazza caotica e affollata di sconosciuti. Ma ne parliamo spesso, del materialismo di questa società. E' una convenzione festeggiare il capodanno, guai a chi non lo dovesse fare. Gramsci aveva ragione, fare il bilancio a fine anno è esercizio piuttosto futile. Ogni giorno bisognerebbe svegliarsi avendo fatto tesoro degli errori del giorno prima e cercare di fare meglio. I buoni propositi dovrebbero guidarci ogni giorno, non solo nel mese di dicembre..
Le difficoltà donano vita, si continua ugualmente, si urla amore e giustizia, di impulsi, sogni e disegni assurdi, di mite follia che si lega con l'ego del sapere, dove si attorciglia in purezza macchiata di ipocrisia, e il puro si conserva il resto dimentica. Ma la mancanza, che non è l'assenza, conta più della presenza. Notte Gus. 🌺
Il patrimonio che Antonio Gramsci ha lasciato all’Italia e alla sua cultura è veramente immenso. Era un patrimonio che avrebbe potuto andare disperso, date le condizioni politiche dell’Italia degli anni 30, in pieno fascismo e dato anche il fatto che, come è noto, Gramsci scrisse dal carcere i suoi “Quaderni”.
RispondiEliminaI “Quaderni del carcere” furono sottratti dalla cognata dalla camera della Clinica Quisisana di Roma dove Gramsci era spirato, e portati a Raffaele Mattioli che li custodì nelle ben munite casseforti della Banca Commerciale Italiana di cui era il presidente.
Gramsci il grande intellettuale che sapeva commuoversi.
Così parla della sua donna:
Giulia, ventiseienne, è bella, alta, ha un aspetto romantico; Gramsci ne è conquistato. Ricorderà: «il primo giorno che non osavo entrare nella tua stanza perché mi avevi intimidito al giorno che sei partita a piedi ed io ti ho accompagnato fino alla grande strada attraverso la foresta e sono rimasto tanto tempo fermo per vederti allontanare tutta sola, col tuo carico da viandante, per la grande strada, verso il mondo grande e terribile ho molto pensato a te, che sei entrata nella mia vita e mi hai dato l'amore e mi hai dato ciò che mi era sempre mancato e mi faceva spesso cattivo e torbido». E quell'immagine di lei, viandante in un mondo grande e terribile, con il suo senso doloroso di distacco, ritornerà ancora dal carcere: «Ricordi quando sei ripartita dal bosco d'argento ti ho accompagnata fino all'orlo della strada maestra e sono rimasto a lungo a vederti allontanare così ti vedo sempre mentre ti allontani a passi brevi, col violino in una mano e nell'altra la tua borsa da viaggio, così pittoresca».
Non sono di sinistra ma per onestà intellettuale non posso non dire che da Gramsci c'è molto da imparare. Primo e unico a leggere tra le righe i drammi dell'unità d'Italia e alla conseguente questione meridionale.
RispondiEliminaGramsci, nel 1920, in un suo puntuale articolo su Ordine Nuovo, scrive:
“Lo Stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando e seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono di infamare chiamandoli briganti”.
Scusa se sono andato off topic.
Buon anno
Che fine hanno fatto gli intellettuali di sinistra? La mutazione genetica si è compiuta già prima della caduta del Muro. «La dialettica non era più tra etica della convinzione ed etica della responsabilità, ma piuttosto tra ingaggi e benefits… Gli intellettuali con la maiuscola riuscivano a tenere saldamente nelle loro mani i tre poteri: quello dell’accademia (il titolo, lo status), quello della comunicazione (i quotidiani, la televisione, la radio), e infine quello del conto corrente (il fatturato annuo). Il bersaglio preferito erano i “vetero-marxisti”, coloro che non capivano che il mondo stava cambiando, che non sapevano optare per la “governabilità”». La diagnosi è di Angelo d’Orsi, ordinario di storia delle dottrine politiche all’università di Torino, autore di libri importanti (l’ultimo è Gramsci. Una nuova biografia, Feltrinelli, 2017) e, con il suo maestro Norberto Bobbio, il più acuto indagatore del ceto intellettuale italiano. Ecco un estratto dell’intervista, firmata da Roberto Casalini, che potete leggere integralmente su Fq Millennium, in edicola con un numero dedicato al crollo della sinistra e alle possibili strade per ricostruirla.
RispondiEliminaInteressante, dal web.
Notte Gus. 🙏 🤗
Carlo Rosselli partiva da Mazzini; Gramsci da Marx e da Lenin. Per arrivare all'idea del socialismo come trasformazione sociale sorretta da una riforma intellettuale e morale capace di realizzare l'elevamento civile delle classi subalterne, aveva percorso una lunga strada grazie alla libertà morale e intellettuale che gli diede la forza di andare contro le idee prevalenti nel suo stesso partito, senza paura di affrontare, anche nelle terribili condizioni del carcere, l'ostilità degli stessi compagni comunisti che lo giudicavano un traditore della causa. La sua è una testimonianza di libertà, per tutti i tempi.
RispondiEliminadi Maurizio Viroli
Fermo restando il dovere di corretta e leale esecuzione degli indirizzi... politici connesso alla natura di tali incarichi e al loro carattere fiduciario, ai titolari degli uffici di diretta collaborazione è forse possibile agli intellettuali di chiedere qualche cosa di più, e cioè amore di verità e capacità di rappresentare agli interlocutori istituzionali, se necessario “spiazzandoli” con la propria cultura nel rapporto tra l'interesse permanente della collettività e delle persone (l'Eterno, in una prospettiva da credenti) e il tempo passa. È un peccato solo il piacere di ascoltarsi più che fare... Oggi.
RispondiEliminaNotte.
Innanzitutto è necessario spiegare che cosa Gramsci intendesse per “società civile” e, sulla base di ciò, per “egemonia, egli intende la società civile in un senso molto particolare che non è utilizzato da altri pensatori. La società civile, in senso specificamente gramsciano, è costituita da un insieme di associazioni e organismi privati, come i sindacati, i partiti politici, le chiese, gli editori, i giornali. Tali organismi sono istituiti mediante l'iniziativa di individui o di gruppi che, in quanto tali, non appartengono alla sfera pubblica dello stato, e funzionano secondo la prassi dell'adesione volontaria; questo è dunque un dato fondamentale: c’è l’iniziativa degli individui e non un comando dall'alto, dallo stato. Questi organismi, nei quali gli intellettuali giocano un decisivo ruolo di organizzazione, cercano di ottenere il consenso di larghe masse della popolazione e, in questo senso, essi sono il luogo di una lotta per l'“egemonia”, culturale e politica, di un gruppo sull'intera società: il principio non è dunque quello del comando o della coercizione, ma quello del consenso.
RispondiEliminahttp://www.caffeeuropa.it/attualita01/122filosofia-texier.html
Mi piace Gramsci, ma era un coraggioso, meraviglioso visionario. Buon giorno, Gus. 🥀❣️
RispondiEliminaGramsci è il nuovo. Viene studiato in tutto il mondo. Il P.C.I. non ha ascoltato i suoi suggerimenti e si è dissolto.
RispondiEliminaCiao Sissi.
Dal '20 in poi l'ho in gran parte vissuto sotto l'incubo di ciò che sarebbe successo in Italia e della enorme quantità di forza che avrei
RispondiEliminadovuto avere per fare fino in fondo ciò che mi pareva giusto e necessario.
Ero un combattente che non ha avuto fortuna nella lotta immediata e i combattenti non possono e non devono essere compianti.
RispondiEliminaI combattenti hanno lottato non perché costretti, ma perché così essi stessi hanno voluto consapevolmente.
RispondiEliminaOgni nostra azione si trasmette negli altri secondo il suo valore di bene e di male. Passa di padre in figlio, da una generazione all'altra, in un movimento perpetuo.
RispondiEliminaQuello che successo all'Italia non è quindi casuale, ma è la somma degli errori commessi.
RispondiEliminaConfesso candidamente che mi piace leggerti perché ogni post che pubblichi mi apre un po' di più il cervello. Quali di storia e di filo. Ma forse te l'ho già detto. Comincio a perdere la memoria 😞😞😞. Ahimè ... Come va con la 🌨️? Abbraccio siempre
RispondiEliminaBene.
EliminaGrazie.
Siempre.
Conosco tre dei tuoi nominati. Ma non Testori. Devo trovare qualche libro per documentarmi. Buon giorno per tutto il giorno
EliminaGiovanni Testori, intellettuale milanese
EliminaScritto da Rossella Atzori.
Storico dell’arte, pittore, critico letterario, poeta, scrittore, drammaturgo, regista e attore. Difficile definire in una sola parola Giovanni Testori, uno dei più importanti intellettuali italiani del Novecento.
Nato il 12 maggio 1923 a Novate Milanese, frequentò il Liceo San Carlo a Milano e si laureò in Lettere all'Università Cattolica del Sacro Cuore nel 1946; a 17 anni collaborava già ad alcune riviste del GUF (Gruppi Universitari Fascisti), scrivendo articoli di critica d’arte.
Allievo prediletto di Roberto Longhi, nel 1952 intraprende con successo la via della critica d’arte, incentrando principalmente i suoi studi sulla pittura lomabarda dal XVI al XVIII secolo, attratto però anche da pittori a lui contemporanei come Cassinari, Morlotti e Guttuso.
Nel 1954 Einaudi pubblica la sua prima opera di narrativa: Il Dio di Roserio, a cui seguiranno quelle del ciclo de “I segreti di Milano”, caratterizzate dalla rappresentazione della realtà milanese e del suo hinterland; fa il suo esordio come drammaturgo al Piccolo Teatro, nel 1960, con quella che è la sua maggiore opera teatrale: L’Arialda. L’opera suscitò subito un grande scandalo per la presunta oscenità del testo, venato da tematiche omosessuali, così ché venne censurata e se ne vietò la rappresentazione; il regista Luchino Visconti e gli attori Paolo Stoppa, Umberto Orsini e Rina Morelli si rivolsero allora al Presidente della Repubblica, che si rifiutò però di riceverli. L’anno seguente L’Arialda venne finalmente messa in scena e ha inizio il sodalizio con Visconti, e proprio lo scandalo contribuì a far conoscere l’opera di Testori al grande pubblico.
Dal 1972, con Franco Parenti, porta in scena la Trilogia degli Scarrozzanti (L’Amleto, 1972 – Macbetto, 1974 – Edipus, 1977) dando vita, con Andrée Ruth Shammah al Salone Pier Lombardo. Qui sperimenta un linguaggio originale, in cui il dialetto lombardo si fonde con elementi estratti dal francese e dall’inglese.
Un doloroso lutto familiare, la morte della madre nel 1977, segna una nuova fase della sua vita, in cui realizza appieno la sua conversione cattolica e si avvicina al gruppo di Comunione e Liberazione, dal quale diceva di sentirsi accolto “nonostante la condizione di omosessuale”. Frutto di questa rinnovata religiosità è una nuova trilogia: Conversazione con la morte (1978), Interrogatorio a Maria (1979) e Factum est (1981).
Dal 1977 collabora con il Corriere della Sera, succedendo a Pier Paolo Pasolini come commentatore in prima pagina, e divenendo l’anno seguente responsabile della pagina artistica.
Negli anni Ottanta si andò intensificando la sua attività di critico militante, rivolta a molti giovani talenti che devono a lui la notorietà; collaborò assiduamente con Franco Branciaroli e fondò con Emanuele Banterle il Teatro degli Incamminati.
Dopo tre anni di malattia, Testori muore il 16 marzo 1993, quando oltre 800 articoli si erano andati ad affiancare ai suoi celebri drammi, romanzi e studi critici.
Rossella Atzori
👍Grazie e buona giornata.
EliminaCiao Farfalla.
EliminaSiempre.
RispondiEliminaDel capodanno ho sempre odiato il doversi divertire a tutti i costi, condividere magari il freddo di una piazza caotica e affollata di sconosciuti. Ma ne parliamo spesso, del materialismo di questa società. E' una convenzione festeggiare il capodanno, guai a chi non lo dovesse fare.
Gramsci aveva ragione, fare il bilancio a fine anno è esercizio piuttosto futile.
Ogni giorno bisognerebbe svegliarsi avendo fatto tesoro degli errori del giorno prima e cercare di fare meglio.
I buoni propositi dovrebbero guidarci ogni giorno, non solo nel mese di dicembre..
Gramsci conosceva il passato e dal presente ha disegnato il nostro futuro.
EliminaLe difficoltà donano vita, si continua ugualmente, si urla amore e giustizia, di impulsi, sogni e disegni assurdi, di mite follia che si lega con l'ego del sapere, dove si attorciglia in purezza macchiata di ipocrisia, e il puro si conserva il resto dimentica.
RispondiEliminaMa la mancanza, che non è l'assenza, conta più della presenza.
Notte Gus. 🌺
La mancanza diventa presenza solo con il dolore.
RispondiEliminaGramsci è stato un "grande".
RispondiEliminaTi ho risposto nel mio blog.
Abbraccio.
Dani
Una grandezza che cresce giorno dopo giorno.
EliminaAbbraccio Dani.
Buon Anno . Ciao :)
RispondiEliminaGrazie.
EliminaBuon anno Re Antonio.
P.S
Che fanno i sudditi?