Il dolore fisico credo sia più accettabile del dolore psicologico. Perlomeno lo si metabolizza più facilmente, perché comunque c’è una possibilità attraverso cure o terapie di ridimensionarlo.
Epicuro divide il dolore in due tipi: quello sordo, con cui si convive, e quello acuto, che passa in fretta. Non sono molto d’accordo anche se lui dà una spiegazione a questa sua affermazione.
Il dolore dell’anima è una esperienza che fa parte della vita, insomma, e che non può essere considerata come esclusiva conseguenza di una patologia, nasce dall’angoscia, dalla tristezza, da un lutto, dall’inquietudine del cuore, dalla mancanza di speranza, e dal desiderio della morte.
Quando queste emozioni così fortemente ferite s’impossessano di noi, siamo tormentati dall’angoscia e dalla disperazione, gli orizzonti del futuro non esistono più, si oscurano.
Credo in ogni caso che chi riesce a comprendere questa sofferenza, ne esce con molte cicatrici che non sempre si risolvono fino in fondo, ma che in ogni caso ci possono rendere più sensibili e più aperti, più forti, a cogliere le contraddizioni della vita. La sofferenza ha a che fare, ovviamente, con gli abissi del nostro essere interiore.
Il dolore è parte integrante della vita, alcuni lo conoscono mano mano che la vita procede, altri lo conoscono appena aperti gli occhi a questa vita, altri, fortunati e rari, solo alla fine della vita e altri ancora lo sperimentano ancor prima di nascere a questa vita, buttati via dopo essere stati fatti a pezzetti e risucchiati da un aspiratore dall'utero materno.
Ci sono dolori oggettivi e soggettivi e gran parte di quelli oggettivi sono dolori causati dall'egoismo, ingiustizia, non cooperazione, pregiudizi, ignoranza.
Al dolore-oggetto si aggiunge il dolore filosofico di trovarne un senso, la cui mancanza smarrisce ancor di più, fa soffrire ancor di più, inducendo persino a mettere Dio sul banco degli imputati. Giobbe chiede conto a Dio delle sue disgrazie, lo incolpa del suo dolore, chiede conto del perché e del per come deve subirlo, si smarrisce di fronte alla montagna, non per la sua ripida altezza da scalare, ma per la sua mancanza di senso; Ulisse non incolpa nessuno, scala la montagna del dolore perché sta là, pensa soltanto a come scalarla.
Epicuro divide il dolore in due tipi: quello sordo, con cui si convive, e quello acuto, che passa in fretta. Non sono molto d’accordo anche se lui dà una spiegazione a questa sua affermazione.
Il dolore dell’anima è una esperienza che fa parte della vita, insomma, e che non può essere considerata come esclusiva conseguenza di una patologia, nasce dall’angoscia, dalla tristezza, da un lutto, dall’inquietudine del cuore, dalla mancanza di speranza, e dal desiderio della morte.
Quando queste emozioni così fortemente ferite s’impossessano di noi, siamo tormentati dall’angoscia e dalla disperazione, gli orizzonti del futuro non esistono più, si oscurano.
Credo in ogni caso che chi riesce a comprendere questa sofferenza, ne esce con molte cicatrici che non sempre si risolvono fino in fondo, ma che in ogni caso ci possono rendere più sensibili e più aperti, più forti, a cogliere le contraddizioni della vita. La sofferenza ha a che fare, ovviamente, con gli abissi del nostro essere interiore.
Il dolore è parte integrante della vita, alcuni lo conoscono mano mano che la vita procede, altri lo conoscono appena aperti gli occhi a questa vita, altri, fortunati e rari, solo alla fine della vita e altri ancora lo sperimentano ancor prima di nascere a questa vita, buttati via dopo essere stati fatti a pezzetti e risucchiati da un aspiratore dall'utero materno.
Ci sono dolori oggettivi e soggettivi e gran parte di quelli oggettivi sono dolori causati dall'egoismo, ingiustizia, non cooperazione, pregiudizi, ignoranza.
Al dolore-oggetto si aggiunge il dolore filosofico di trovarne un senso, la cui mancanza smarrisce ancor di più, fa soffrire ancor di più, inducendo persino a mettere Dio sul banco degli imputati. Giobbe chiede conto a Dio delle sue disgrazie, lo incolpa del suo dolore, chiede conto del perché e del per come deve subirlo, si smarrisce di fronte alla montagna, non per la sua ripida altezza da scalare, ma per la sua mancanza di senso; Ulisse non incolpa nessuno, scala la montagna del dolore perché sta là, pensa soltanto a come scalarla.
Immagine:
RispondiEliminaFotografo Helmut Newton.
Helmut Newton
EliminaBiografia
Helmut Newton e’ una delle figure piu’ controverse della fotografia mondiale. Viene introdotto alla fotografia da Elsie Neulander Simon, fotografa berlinese specializzata in moda, ritratti e nudi.
Costretto ad emigrare in Australia dal regime nazista, vivra’ poi anche a Parigi, Montecarlo e Losa Angeles. Riscosse i primi successi scattando per la versione inglese di Vogue negli anni ‘50, per poi divenire uno dei piu’ importanti fotografi di moda di tutti i tempi. Raggiunse l’apice della sua carriera a cavallo fra gli anni ‘60 e ‘70, quando divenne una vera e propria celebrita’.
A parte le fotografie di moda, sono famosi i suoi ritratti ai grandi personaggi del ‘900.
Ha pubblicato decine di libri ed i suoi lavori sono stati pubblicati in tutto il mondo.
http://www.grandi-fotografi.com/helmut-newton
La foto del post mostra Isabella Rossellini ritratta da Helmut Newton.
EliminaCredo che sia proprio il dolore filosofico quello più straziante o cmq è quello che rende più straziante il dolore psicologico. Riuscire a domarlo è sintomo di rinascita altrimenti si resta impantanati in quel dolore.
RispondiEliminaC'è un subdolo dolore esistenziale che rinchiude un uomo dentro una gabbia e riguarda il distacco da quello che offre la vita.
EliminaUna rottura insanabile con l'ordine delle cose, con il mondo che non riesce a dare quello che inconsciamente l'uomo cerca.
Rinascere dopo il dolore è stata una delle cose migliori che mi sia capitata.
EliminaEli
Succede raramente e solo a chi è forte.
EliminaCiao Eli.
Mi soffermo sull'ultimo passaggio: il senso del dolore.
RispondiEliminaDa un punto di vista ateo o agnostico, è chiaro che il dolore fisico o psicologico sia frutto di situazioni causate dal rapporto con le altre persone o dalla casualità (pensiamo alla persona che attraversa la strada e viene investita. Si ferisce perché si trova lì, in quel momento).
Da un punto di vista religioso, correggimi se dico sciocchezze, perché Dio ha creato la malattia?
Nel vecchio Testamento credo che fosse una punizione: non ti comporti bene, Dio ti punisce.
Nel nuovo Testamento invece questa concezione viene (fortunatamente) superata.
Partiamo dal presupposto che il fine ultimo della vita è..la vita eterna.
Chi è colpito da malattia, porta sulle spalle la croce di Gesù Cristo. Chi è colpito da malattia, come Gesù ci dona il suo amore e ci salva.
Invece per il dolore frutto delle azioni umane? Beh, Dio ha concesso il libero arbitrio, per cui..l'uomo è libero anche di compiere purtroppo atti di violenza.
Un cristiano porta la croce e ne conosce il significato, ma non basta a non provare il dolore. L'uomo ha una vita terrena a termine e la malattia è una delle opzioni per raggiungere lo scopo. Certe malattie, come l'AIDS, prima non c'erano e mi sembra strano che Dio sia il proprietario delle multinazionali del farmaco o dei servizi delle Pompe funebri.
RispondiEliminaIn generale la volontà di Dio è essenzialmente imperscrutabile e non posso darti nessuna risposta. Cristo ha parlato di una vita eterna che la nostra mente non può concepire. Non ne conosce la forma e nemmeno come e dove si svolga. Senza sperimentarla come possiamo immaginare una felicità che viene dalla presenza di Dio?
Noi chiamiamo “croce” ogni nostra esperienza negativa, dal raffreddore ai problemi di salute più gravi, all’incompatibilità di convivenza con i propri famigliari a….
RispondiEliminaLa sua banalizzazione ci ha portato giustamente a rifiutarla. Dio non si diverte dall’alto a mandarci problemi.
La croce di Cristo, è quella vera, è qualcosa di infinitamente più grande, importante, è il segno della trasformazione del dolore in amore, dell’odio in perdono, dalla sconfitta in vittoria.
Sollevare la croce non significa rassegnarsi alla sventura, ma aprirsi alla consapevolezza della fragilità dell’uomo a quel limite particolare e personalissimo che il Creatore ha imposto alle mie capacità, oltre il quale può operare solo la Sua grazia onnipotente.
Sinforosa, il tuo commento è commovente. A volte mi sembra di essere un alieno, circondato come sono da gente assente.
RispondiEliminaLa parola sacrificio è incominciata, storicamente, a diventare una grande parola, da quando Dio è diventato un uomo. E' nato da una giovane donna, era stato piccolo, camminava con passetti piccoli, poi ha cominciato a parlare, e poi incominciava ad aiutare suo papà che faceva il carpentiere, poi è diventato più grande e ha incominciato ad andare via di casa senza che sua madre capisse perché.
RispondiEliminaDa quando Dio si è fatto uomo, e poi, dopo, ha incominciato a parlare al popolo, e il popolo sembrava che gli andasse dietro quando compiva dei gesti strani ( o miracoli), ma il giorno dopo aveva dimenticato.
Lui era là da solo, e perciò si ingrossava il numero di quelli che erano contro di Lui, finché, insomma, lo hanno preso e ammazzato, inchiodato a una croce, e ha gridato: " Padre, perché mi hai abbandonato?". E' il grido di disperazione più umano che si sia mai sentito nell'aria della terra, e poi ha detto: "Perdona loro perché non sanno quello che fanno", e poi ha gridato: " Nelle tua mani raccomando la mia vita". Da quel momento lì, da quando quell'uomo è stato messo stirato sulla croce e inchiodato, il sacrificio è diventato il centro della vita di ogni uomo, e il destino di ogni uomo dipende da quella morte.
Questa risposta è teologia. Luigi Giussani è perfetto.
EliminaFilippo, la tua analisi è corretta e l'analisi del pianto di Cristo è inattaccabile.
RispondiEliminaBenedetto XVI, in un'udienza dedicata alla preghiera di Gesù nel Getsemani, si riferiva al fatto che noi cristiani, se cerchiamo un'intimità sempre maggiore con Dio, possiamo portare su questa terra un anticipo del cielo: «Ogni giorno nella preghiera del Padre nostro noi chiediamo al Signore: "sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra" (Mt 6,10). Riconosciamo, cioè, che c'è una volontà di Dio con noi e per noi, una volontà di Dio sulla nostra vita, che deve diventare ogni giorno di più il riferimento del nostro volere e del nostro essere; riconosciamo poi che è nel “cielo” dove si fa la volontà di Dio e che la “terra” diventa “cielo”, luogo della presenza dell’amore, della bontà, della verità, della bellezza divina, solo se in essa viene fatta la volontà di Dio. Nella preghiera di Gesù al Padre, in quella notte terribile e stupenda del Getsemani, la “terra” è diventata “cielo”; la “terra” della sua volontà umana, scossa dalla paura e dall’angoscia, è stata assunta dalla sua volontà divina, così che la volontà di Dio si è compiuta sulla terra. E questo è importante anche nella nostra preghiera: dobbiamo imparare ad affidarci di più alla Provvidenza divina, chiedere a Dio la forza di uscire da noi stessi per rinnovargli il nostro “sì”, per ripetergli «sia fatta la tua volontà», per conformare la nostra volontà alla sua» (Benedetto XVI, Udienza, 1-II-2012).
Filippo, il tentennamento di Cristo non è causato solo dal timore fisico della sofferenza, ma riguarda quasi l'incredulità che per salvare l'umanità, Il Figlio di Dio è costretto a farsi crocifiggere.
RispondiEliminaIl senso di giustizia del cristianesimo precede anche l'amore. Questa è la grandezza di questa religione in confronto alle altre.
Due cose: sacrifici con la gioia e il dolore sopportare nel silenzio e cammina...
RispondiEliminaIl dolore è fine a se stesso, il sacrificio è per un altro.
EliminaCiao Francesco.
Hi, nice post. I follow you #213 ,follow back?
RispondiEliminahttp://itsmetijana.blogspot.com/
Yes, it's true.
EliminaIt's a nice post.
Hello.
Eppure Giobbe era un uomo di fede...però non era avezzo a sacrifici.
RispondiEliminaLa sofferenza, i sacrifici, le restrizioni,allenano.
Grazie August.
Un abbraccio.
Dani
C'è diversità tra religione e mitologia.
EliminaCi fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento, un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto, un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera. Era il Signore.
Un abbraccio Dani.
Sei una grande donna.
RispondiEliminaCiao.